Disastrologia Veterinaria
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Albania, le procedure igienico sanitarie per i centri di accoglienza

Contributi

Il Dipartimento della Protezione Civile, nell’ambito delle attività connesse all’aiuto umanitario ai profughi del Kossovo, aveva costituito, d’intesa con il Ministero della Sanità, un Nucleo controllo igiene degli alimenti con l’obiettivo principale di garantire la sicurezza sanitaria delle derrate destinate all’alimentazione degli ospiti e del personale dei campi profughi gestiti dal Governo italiano in Albania.
Nel corso dell’attività erano emerse nuove esigenze, che avevano portato ad un ampliamento del mandato del Nucleo, sui molteplici aspetti di sanità pubblica legati alla gestione dei campi: potabilità dell’acqua, gestione delle cucine da campo, disinfezione e disinfestazione, smaltimento dei rifiuti. Nell’affrontare questi problemi si era imposta la necessità di un’adeguata formazione degli operatori dei campi e di un’efficace iniziativa di educazione sanitaria diretta agli ospiti ed ai soccorritori alloggiati in tali strutture, per poter effettivamente porre in essere quei comportamenti preventivi che costituiscono la prima garanzia sanitaria per la popolazione.
In questa prospettiva erano state organizzate iniziative di formazione in territorio albanese che avevano visto anche la partecipazione dei servizi veterinari locali. Il materiale didattico e informativo, prodotto nel corso di tali iniziative, ha costituito delle linee guida che qui alleghiamo.

Le linee guida sono state vagliate e integrate da un Gruppo di lavoro costituito a tal fine, di cui hanno fatto parte esperti del settore e componenti della Commissione Grandi Rischi, Sezione Rischio Sanitario. Queste linee-guida, pur prendendo spunto da un’emergenza internazionale caratterizzata da standard igienico-sanitari inferiori a quelli del nostro Paese, sono rivolte essenzialmente ai professionisti, al volontariato della protezione civile operante sul territorio nazionale, ed al personale del Servizio sanitario nazionale che deve svolgere i propri compiti istituzionali in un contesto d’emergenza. Si è ritenuto infatti opportuno offrire, a tutte le figure coinvolte nell’assistenza alla popolazione colpita da una catastrofe, uno strumento di indirizzo e di guida per la gestione dei problemi di sanità pubblica nella specifica realtà dei centri di accoglienza.

Una particolare attenzione è stata rivolta ai problemi connessi all’approvvigionamento, conservazione, preparazione e distribuzione degli alimenti. Tale scelta è stata compiuta principalmente in considerazione della rilevanza del rischio di focolai di tossinfezioni alimentari in situazioni di emergenza, caratterizzate da particolari fattori: ridotta capacità di sorveglianza ed intervento dei servizi di prevenzione sul territorio; livelli igienico-sanitari di vita inferiori alla norma; situazioni di stress nella popolazione colpita e tra i soccorritori. Queste tematiche sono state sviluppate tenendo, inoltre, presenti non soltanto gli aspetti strettamente sanitari, ma anche le implicazioni sociali, psicologiche e culturali connesse all’alimentazione. Tali implicazioni non devono essere trascurate, soprattutto in una situazione di crisi, in cui l’equilibrio psicologico dell’individuo e la tenuta del tessuto sociale di riferimento rischiano di essere profondamente compromessi o alterati dall’evento calamitoso.

Scarica le Linee guida PROCEDURE IGIENICO – SANITARIE PER LA GESTIONE DEI CENTRI D’ACCOGLIENZA

Dicembre 22, 2022/da Salvatore Medici
http://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2022/12/Rischio-Kosovo2.jpg 337 500 Salvatore Medici http://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2021/10/logo2.png Salvatore Medici2022-12-22 14:44:452022-12-22 14:47:16Albania, le procedure igienico sanitarie per i centri di accoglienza

Fare squadra nelle grandi emergenze sanitarie. Il modello GORES

Contributi

Di:

S.Balducci – Servizio Protezione Civile, Regione Marche

M. Caroli – Referente Sanitario Regionale Marche

D.Fiacchini – Azienda Sanitaria Unica Regionale Marche

Le Regioni debbono continuamente intensificare ed individuare misure adeguate e finalizzate alla tutela della sicurezza e dell’incolumità della popolazione, anche per fronteggiare il rischio biologico, chimico, nucleare, radiologico, come pure, sappiamo bene, i problemi connessi con le malattie ad alta infettività e le grandi emergenze sanitarie.

Il primo comma dell’art. 7 della L.R. 32/2001, che istituisce il sistema regionale di protezione civile nelle Marche, prevede che in tali condizioni, il Presidente della Giunta individui le strutture regionali chiamate ad operare per lo svolgimento degli interventi necessari.

La nascita del modello organizzativo della Regione Marche

L’epidemia di SARS del 2003 ha determinato la necessità di studiare un modello organizzativo strutturato per la gestione di eventi emergenziali per la salute pubblica.

Mediante DPGR 310 del 5/8/2003, fu inizialmente costituito il “Nucleo Operativo Regionale per i problemi connessi con le malattie ad alta infettività e per il controllo della SARS”.  Questa prima esperienza portò nel 2004 alla costituzione del GORES, “Gruppo Operativo Regionale Emergenze Sanitarie” (DPGR 49 del 17/2/2004). Il GORES è un Gruppo di operatori rappresentanti del Servizio Salute regionale e del Servizio regionale della Protezione Civile ai quali si uniscono operatori esperti provenienti dal territorio, già identificati per le funzioni principali (Rischi NBCR, Comunicazione, Medicina delle catastrofi, USMAF, etc.) o da identificare di volta in volta, sulla base della natura dell’emergenza da affrontare. Ai sensi della L. 32/2001, istitutiva del Sistema regionale della PC Marche, ma anche per le oggettive facilitazioni che ciò comporta, il GORES e i vari sottogruppi tematici, hanno avuto e mantengono ad oggi la loro sede formale presso la Sala Operativa Unica di Protezione civile (SOUP) che opera H24 ed è individuata quale riferimento per tutte le emergenze regionali.

Inizialmente il GORES  ha affrontato le problematiche connesse con le malattie ad alta infettività (influenza aviaria, 2005-2006; pandemia influenzale, 2009, etc) e l’attuazione del “progetto regionale P.E.I.M.A.F. (Piani di Emergenza Intraospedaliera Massiccio Afflusso Feriti)”: si è riconosciuto, quale obiettivo prioritario regionale, la redazione e l’aggiornamento dei P.E.I.M.A.F. delle Aziende ospedaliere presenti sul territorio, per un’adeguata pianificazione intraospedaliera dell’emergenza. Un dato assoluto da considerare, infatti, è che l’Ospedale, in caso di disastro o di altra evenienza di tipo emergenziale, deve funzionare nonostante tutto e attraverso un’attenta gestione delle risorse disponibili.

Nel corso del 2009 l’emergenza rappresentata dalla pandemia influenzale da virus A/H1N1 è stata il banco di prova del sistema integrato di risposta.

I risultati del sistema integrato – La fase della preparazione alla pandemia e della risposta alla pandemia 2009

Facendo seguito alla pubblicazione del Piano Pandemico Nazionale, approvato nel 2006, la Regione Marche con DPGR 30 del 13/2/2006, ha costituito il “Comitato Pandemico Regionale (CPR)”, come sottogruppo tematico del GORES, con il mandato di “progettare e coordinare le attività previste dal Piano Pandemico Nazionale nel territorio regionale”.

Nel novembre 2007 è stato approvato il “Piano Pandemico Regionale – Linee Guida”, strumento operativo per guidare l’organizzazione delle azioni di preparazione e risposta ad una eventuale pandemia influenzale. Il momento centrale del percorso è risultato essere la formalizzazione ed attivazione dei Comitati Pandemici Zonali/Aziendali. È stato successivamente elaborato lo “Schema per la redazione dei piani pandemici locali”, per garantire la più omogenea e capillare pianificazione. Come risultato, in concomitanza con la dichiarazione OMS del giugno 2009 di “pandemia in fase 6”, tutti i Piani Pandemici Locali/Aziendali erano stati redatti (diciassette piani operativi attivi su tutto il territorio regionale).

Nel mese di settembre 2009, in relazione alla evoluzione degli scenari internazionali e delle direttive nazionali, con DGR 1515 del 28.9.2009 è stato approvato il “Piano operativo per la risposta alla pandemia influenzale nella Regione Marche” che ha assegnato una serie di poteri emergenziali al Dirigente del Servizio Salute, d’intesa con il Direttore del Dipartimento politiche integrate di sicurezza e protezione civile, stabilito i compiti operativi del CPR per il tramite del suo coordinatore, assegnato un finanziamento di 5.000.000 di euro per la realizzazione delle attività previste nell’atto stesso. Il CPR è stato il punto di riferimento anche per la gestione dell’evento nella fase emergenziale con compiti principali quali garantire i contatti con gli enti e le strutture competenti nazionali, fornire  le indicazioni tecniche per la applicazione delle ordinanze e circolari ministeriali nel territorio regionale al fine di garantire il coordinamento delle azioni e la omogeneità della risposta, supportare la attivazione del sistema di sorveglianza epidemiologica e virologica attraverso le strutture del SSR e garantire la  tempestiva diffusione a livello regionale, delle informazioni sulla situazione epidemiologica, coordinare  l’azione  delle strutture del Servizio Sanitario Regionale.

Nella gestione dell’evento pandemico del 2009 il peculiare punto di forza del sistema marchigiano è risultato dall’attivazione di un modello organizzativo “misto” che applica l’approccio sulle emergenze della protezione civile, alla organizzazione del SSR. Sul versante regionale la stretta collaborazione tra Servizio Salute e Servizio Protezione Civile ha facilitato, tra l’altro, l’elaborazione di un piano di comunicazione regionale e l’attuazione delle principali attività previste nella fase di pianificazione, tra cui l’attivazione di un numero verde regionale, il lancio di una campagna comunicativa regionale, l’organizzazione e l’attuazione di una survey per indagare conoscenze, attitudini e comportamenti della popolazione marchigiana, e l’elaborazione e l’attuazione delle procedure per l’individuazione, l’allestimento e la funzionalità di idonei centri di vaccinazione di massa che sono stati utilizzati per garantire l’effettuazione del più alto numero di dosi di vaccino pandemico nel minor tempo possibile.

Nel frattempo il D.P.G.R. n. 105/PRES del 20/05/08 aveva individuato il coordinatore del GORES quale componente rappresentante del Servizio Salute in seno al Centro Operativo Regionale (COR), istituito ai sensi dell’art. 10 comma 3 della L.R. n.32/2001.

I DD.P.G.R. n. 60 del 2012 e n. 152 del 2014 hanno successivamente e ulteriormente modificato le modalità organizzative e operative del gruppo GORES alla luce delle esperienze maturate nei differenti eventi emergenziali relativi a rischi di diversa natura, che avevano interessato il territorio regionale.

               Il 28 giugno 2011 la Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri inerente “Indirizzi operativi per l’attivazione e la gestione di moduli sanitari in caso di catastrofe” ha individuato le modalità per un coordinamento efficace per il dispiegamento di moduli sanitari in raccordo con  il Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri come nel caso della Regione Marche, che da anni gestisce e coordina una struttura campale sanitaria, con la quale si è già più volte intervenuti in emergenze nazionali ed internazionali.  Al fine di assicurare il migliore impiego di questa tipologia di risorsa sanitaria di emergenza si è ritenuto indispensabile individuare referenti per il dispiegamento dei moduli in questione. Il referente per il dispiegamento della struttura sanitaria campale della Regione Marche risulta essere il funzionario del Servizio Protezione Civile, responsabile della P.O. Sale operative e piani speciali.

Il 24 giugno 2016 è stata, inoltre, pubblicata la Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri sull’individuazione dei referenti sanitari regionali (RSR) in caso di emergenza nazionale, con l’obiettivo di salvare il più alto numero possibile di vite umane in caso di evento calamitoso. La Direttiva prevede in particolare che i Presidenti di Regione nominino un referente sanitario regionale (RSR) per le emergenze, attraverso il quale il Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri può stabilire un collegamento tempestivo con la struttura sanitaria della Regione colpita e ricevere richieste specifiche sul tipo di aiuto sanitario necessario. Il RSR per la Regione Marche è stato individuato per la prima volta dal Presidente della Giunta Regionale il 18.6.2014, ed è stato stabilito altresì che tale figura, in qualità anche di coordinatore del GORES, lo rappresenta in seno al COR (Centro Operativo Regionale).

A seguito degli eventi sismici che hanno interessato il territorio regionale dal 24 agosto del 2016, attraverso le azioni del GORES (attivato con i rappresentanti di tutte le componenti necessarie alla gestione dell’emergenza) e il coordinamento del RSR in raccordo con il funzionario responsabile della SOUP, sono state coordinate tempestivamente, grazie all’esperienza accumulata negli anni, tutte le attività conseguenti e ricadenti nell’ambito della Funzione di protezione civile “sanità umana e veterinaria, assistenza psicosociale”.

Successivamente il Servizio Protezione Civile d’intesa con il Servizio Sanità e il Referente Sanitario Regionale, a seguito delle esperienze maturate, ha ritenuto necessario modificare e integrare la composizione del gruppo GORES, attraverso il DPGR 286 del 25/11/2019, per favorirne una sempre maggiore operatività nel settore delle grandi emergenze, assicurando procedure adeguate e la presenza degli specialisti di settore per un efficace coordinamento delle attività, alla luce delle variazioni occorse nel tempo nello schema organizzativo regionale e nelle normative a livello nazionale.

Attuale pandemia di Covid-19

Dal 27/01/2020 il ruolo GORES è stato ben definito sia attraverso la prima ordinanza del Presidente n. 3 del 03/03/2020 che successivamente nella DGR 1257/2020 che aggiorna il Piano Pandemico Regionale.

In particolare, in analogia con quanto avvenne nelle occasioni di crisi per influenza aviaria nel 2006 e pandemia H1N1 nel 2009, per la prosecuzione delle attività di coordinamento, è stata prevista una struttura specifica (il Comitato Pandemico Regionale), diretto dal Dirigente del Servizio Sanità, che si avvale del GORES come supporto.

Come in tutte le altre regioni, anche nelle Marche sono state poste in essere azioni di preparazione e risposta alla pandemia anche grazie al supporto della Protezione Civile e il coordinamento del GORES:

  • Coordinamento degli interventi di assistenza alla popolazione in sinergia con i Centri Operativi Comunali (COC) e i Centri di Coordinamento Soccorsi (CCS), anche attraverso l’attivazione del volontariato di PC;
  • Supporto con il volontariato sanitario di PC (ANPAS, CRI) per il monitoraggio temperatura in aeroporto;
  • Acquisizione DPI, DM e apparecchiature;
  • Coordinamento della distribuzione regionale di medici, infermieri, OSS assegnati attraverso interlocuzione con il DPC/CON;
  • Supporto logistico con tende pneumatiche e moduli per il pre-triage negli ospedali regionali
  • Assistenza sociale e alla salute mentale della popolazione, anche attraverso attivazione di volontariato di PC specializzato in psicologia dell’emergenza;
  • Avvio e coordinamento del Numero Verde regionale;

Collaborazione nell’identificazione, avvio e sostegno dei Punti vaccinali di Popolazione anche mediante il coordinamento del volontariato di PC

Giugno 27, 2022/da Salvatore Medici
http://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2022/06/gores.jpg 361 642 Salvatore Medici http://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2021/10/logo2.png Salvatore Medici2022-06-27 10:47:222022-06-27 10:47:22Fare squadra nelle grandi emergenze sanitarie. Il modello GORES

L’Ospedale da campo dell’Associazione Nazionale Alpini

Contributi

di Di Sergio Rizzini – Dir. Generale della Sanità Alpina ANA e Stefano Foschini. – Resp. Area della Prevenzione Medica e Veterinaria dell’Ospedale da Campo ANA

L’Associazione Nazionale Alpini (A.N.A.) è un’Associazione d’Arma composta da coloro che svolgono o che hanno svolto il servizio militare nell’ambito delle Truppe Alpine.

Nel 1976 nell’ambito dell’ANA è stata istituita un’organizzazione di Protezione Civile che ad oggi consta di circa 13.500 volontari, provenienti da tutto il territorio nazionale, attivi in differenti specialità: alpinismo, soccorso subacqueo e nautico, telecomunicazioni, antincendio boschivo, unità cinofile di soccorso, logistica, droni, idrogeologico, informatica e sanità.

L’attività sanitaria è assicurata da una struttura organizzativa denominata “Sanità Alpina-Ospedale da Campo” che eroga prestazioni sanitarie finalizzate sia all’assistenza dei volontari di protezione civile che all’assistenza della popolazione coinvolta da emergenze sanitarie e umanitarie, in ambito nazionale e internazionale.

L’organico della struttura sanitaria è costituito da oltre 500 volontari, tra cui 120 medici, 230 infermieri, 90 logisti e altre professionalità sanitarie e non.

I volontari sono selezionati, oltre che per la condivisione dei valori fondanti l’Associazione, sulla base dell’idoneità fisica e sanitaria, sulle capacità professionali e attraverso un percorso formativo modulato in funzione dell’attività svolta che prevede una formazione comune in materia di protezione civile.

Le prestazioni sanitarie sono rese mediante l’attività delle Squadre Sanitarie, dislocate su tutto il territorio nazionale, e di un Ospedale da Campo la cui sede operativa, a Orio al Serio (BG), è strategicamente individuata per l’accesso diretto alla rete autostradale e alla limitrofa struttura aeroportuale che ne consente la movimentazione con velivoli ad ala fissa e ad ala rotante.

La struttura dell’Ospedale da Campo è costituita da tre PMA (Posti Medici Avanzati) di primo livello, due PMA di secondo livello, un PMA di terzo livello con sala operatoria (Light Field Hospital) e da un Ospedale Maggiore, il più grande Field Hospital in Europa, che si sviluppa secondo criteri di modularità ed è dotato di tutte le componenti tipiche di un ospedale convenzionale.

Dal punto di vista organizzativo l’ospedale è suddiviso nelle aree di anestesia e rianimazione, chirurgia e traumatologia, di medicina, farmacia, radiologia, laboratorio analisi, psicologia e l’area della prevenzione medica e veterinaria.

Per garantire la capacità operativa in condizioni di emergenza, l’Ospedale da Campo deve assicurare l’autonomia funzionale e organizzativa e a questo scopo ha tra le proprie fila un significativo numero di personale logistico.

Dalla fondazione, nel lontano 1986, l’Ospedale da Campo è intervenuto in tutte le principali emergenze che hanno interessato la nostra penisola e in emergenze in ambito internazionale: la guerra del Kosovo nei Balcani (1999), la strage terroristica a Beslan in Ossezia (2004), lo tsunami in Sry Lanka (2005), il campo profughi ad Al Zaatari in Giordania (2012).

La pandemia da Covid-19 ha visto e vede tutt’ora il coinvolgimento continuo della struttura sanitaria dell’ANA, iniziato il 4 febbraio 2020 per il monitoraggio dei passeggeri presso alcuni aeroporti del Nord Italia.

Nel marzo 2020, su richiesta di Regione Lombardia, è stata realizzata, nell’area dell’Ente Fiera di Bergamo, una struttura ospedaliera campale per l’assistenza dei malati Covid.

L’allestimento è stato preceduto da una fase di progettazione, condivisa con personale sanitario di Emergency e di Regione Lombardia, volta a individuare innovative soluzioni per una efficace gestione della malattia: percorsi del personale, attrezzature, individuazione di aree di diverso livello di rischio, innovative soluzioni tecnologiche per ottimizzare i flussi d’aria, delimitazioni dei locali con pannelli in materiale sanificabile, ecc.

In soli sette giorni – con la prestazione gratuita di 300 artigiani e 300 alpini 24h/24h e con il supporto economico di molti imprenditori – è stata realizzata la struttura ospedaliera con una capacità di 76 posti in terapia intensive e 66 posti a media e bassa intensità.

L’attività sanitaria è stata garantita, oltre che da personale della Sanità Alpina, da personale di Emergency, dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, degli Spedali Civili di Brescia e da una delegazione di sanitari russi.

A seguito della recessione della prima ondata di pandemia l’Ospedale in Fiera è stato posto in stand-by, per essere impiegato come poliambulatorio di follow-up degli ex malati Covid e per l’esecuzione di tamponi per la ricerca del virus.

In continuo adattamento e flessibilità, in relazione al decorso della pandemia, l’Ospedale da Campo è oggi impegnato sul fronte della profilassi: da marzo parte della struttura ospedaliera in Fiera di Bergamo sarà destinata a postazione vaccinale per il COVID.

Il tutto all’insegna del motto della Sanità Alpina “Hoc opus, hic labor” (questo è l’impegno e qui la fatica), grazie alla versatilità dell’organizzazione e delle strutture e alla professionalità e al senso del dovere che caratterizza l’ANA e il volontariato di Protezione Civile.

Giugno 27, 2022/da Salvatore Medici
http://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2022/06/18_PMA-2°-LIVELLO.png 1004 1500 Salvatore Medici http://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2021/10/logo2.png Salvatore Medici2022-06-27 10:33:472022-06-27 10:33:47L’Ospedale da campo dell’Associazione Nazionale Alpini

“Disaster preparedness”, ma preparati a cosa?

Contributi

di Marco Leonardi

Il termine “disaster preparedness” solitamente non viene mai tradotto in italiano. Forse per la nostra tendenza esterofila, forse perche’ non esiste nella lingua di Dante un adeguato corrispondente. La normativa nazionale di protezione civile non cita la “preparedness”. Lo strumento fondamentale indicato dalla legge per la risposta ai disastri naturali e di origine antropica è il piano di protezione civile. Rispetto alla precedente normativa, è stato superato il concetto di “piano di emergenza”, ma il significato di questo passaggio non viene spiegato. Il piano, comunque, è solo una parte delle attivita’ di “preparedness”.

Ma cosa significa “essere preparati”? E preparati a cosa?

Le persone competenti ci spiegano il ciclo di Deming per implementare e misurare la nostra “preparedness”:  Plan–Do–Check–Act (pianifica, fai, verifica, agisci). La “preparedness” è quindi un processo. Ma, trattando di sanità pubblica e di disastri naturali o tecnologici, di cosa stiamo parlando? All’idea di “emergenza” viene collegata generalmente una situazione transitoria ed eccezionale, a causa della quale, in modo più o meno pianificato e organizzato, viene modificata, o addirittura sospesa, l’attività ordinaria. Molto spesso per la pianificazione di emergenza viene utilizzata, non sempre a proposito, la terminologia militare. Questo perché si tratta di un paradigma che ha una lunga storia, con cui abbiamo una certa familiarità. In ambito sanitario, il modello più collaudato è quello delle maxi-emergenze che comportano il trattamento di pazienti in numero superiore all’ordinario, in ambito extra ed intraospedaliero. I servizi veterinari hanno sviluppato elevate competenze e capacità operative nella gestione delle epidemie animali. In tempi più recenti, soprattutto per la spinta della legislazione europea, è stato introdotto il concetto di emergenze in sicurezza alimentare. Il problema è capire se questi modelli sono adeguati alla gestione delle criticità di sanità pubblica per eventi così diversificati e complessi come alluvioni, terremoti, incidenti industriali, eccetera.

Si propongono, al riguardo, alcuni spunti di riflessione.

Anzitutto, i disastri coinvolgono il territorio nel suo complesso, e richiedono pertanto l’intervento di molti soggetti, pubblici e privati. Non ci si può preparare a questi eventi in solitaria; le relazioni con questi soggetti sono elemento essenziale per assicurare un servizio che, in situazioni ordinarie, non necessariamente richiede un coordinamento tra più enti. Queste relazioni devono essere definite e, se necessario, formalizzate. La nostra capacità di prevedere gli eventi e di elaborare scenari ha dei limiti. Non possiamo prevedere tutto quello che potrebbe accadere. Si deve disporre di un’organizzazione flessibile, e della capacità di pianificare in tempo reale sulla base dell’evoluzione della situazione. Una pianificazione a priori, dettagliata e rigida, è destinata con buona probabilità a restare negli scaffali, inutilizzata. L’impegno dei servizi di sanità pubblica in seguito ad un disastro può durare anni. Nel frattempo si possono verificare altre situazioni di “emergenza” e si deve comunque garantire l’ordinario. Per affrontare un impegno di questa natura occorre intervenire sulla programmazione della struttura nel suo complesso.

La gestione dei disastri comporta la “digestione” di grandi quantità di procedimenti amministrativi, anche per lunghi periodi di tempo. Trascurare la componente amministrativa a favore di quella operativa è un errore frequente da parte di chi concepisce la gestione dell’emergenza come sinonimo di soccorso. L’esperienza insegna che spesso in situazioni critiche, come quelle delle emergenze sismiche, la risorsa umana scarsa non sono i soccorritori, ma i responsabili di procedimento. Le calamità naturali e gli incidenti tecnologici che hanno un impatto severo sul territorio sono fortunatamente rari. Serve uno sforzo, da parte degli enti, per mantenere l’attenzione su queste categorie di rischi e assicurare la continuità e la revisione delle procedure e dei programmi di formazione e addestramento. Le attività di “preparedness” non devono essere mirate solo alla eventuale gestione dell’emergenza, ma anche a individuare e superare (o mitigare) gli elementi di vulnerabilità, strutturale e non, delle attività sottoposte a vigilanza dai servizi di prevenzione, ma anche degli stessi servizi. Il miglioramento della “preparedness” passa probabilmente anche dalla revisione delle organizzazioni, delle procedure, in ultima analisi della cultura delle Amministrazioni, delle comunità, del territorio. L’informazione pubblica sugli eventi, sui rischi e sui comportamenti da adottare non è solo un dovere civico, ma uno strumento operativo da cui dipende, in molti casi, l’efficacia degli interventi. In tempi dove l’informazione è dominata dai social media il tema è particolarmente complesso, ma non eludibile.

Infine, si devono ricordare le attività per il superamento dell’emergenza. Una fase citata dalla normativa di protezione civile, ma rispetto alla quale mancano punti di riferimento. Eppure proprio in questa fase, che coinvolge pesantemente i servizi di prevenzione, si possono commettere errori che lasciano segni duraturi sul territorio. E mai come in questa fase sono necessarie capacità di coordinamento e di programmazione non indifferenti. Se tutto quanto scritto sopra ha senso, il miglioramento del livello di “preparedness” probabilmente presuppone anche un percorso di revisione delle organizzazioni, delle procedure, in ultima analisi della cultura di un’amministrazione, di una comunità, di un territorio. La pianificazione di emergenza può favorire questo percorso, ma il prodotto finale (il “piano”) non può rispondere a tutte le domande e le necessità che si presentano inevitabilmente nella fase post evento. Non si pretende di esaurire un argomento così complesso in poche righe. È difficile prevedere se, a causa del cambiamento climatico e della crescente pressione antropica, alcuni fenomeni naturali diventeranno più frequenti o più intensi. Un fatto è certo: l’aspettativa dell’opinione pubblica rispetto alla “preparedness” dei servizi pubblici è sempre più elevata.

E dobbiamo essere preparati.

Giugno 27, 2022/da Salvatore Medici
http://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2022/06/DM-PHASES.png 1250 1250 Salvatore Medici http://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2021/10/logo2.png Salvatore Medici2022-06-27 10:30:352022-06-27 10:31:43“Disaster preparedness”, ma preparati a cosa?

Preparedness, resilience, response, sustainability, recovery … One Health!

Contributi

di Pasquale Simonetti

Lo sciame virale con la sua scia pandemica, dolorosa, ha provocato uno shock globale, che nella sua tragicità, ancora una volta, ha dimostrato quanto un’avversità possa anche essere vissuta, per certi aspetti, come un’opportunità, per migliorarsi.

La malattia Covid-19, in virtù del suo silenzioso, progressivo, devastante, vasto impatto sulle comunità, può considerarsi più che pandemia una ‘sindemia’. Termine coniato da Merrill Singer, un antropologo medico statunitense, negli anni ’90.

La parola ‘sindemia’ deriva dal greco e si riferisce all’insieme di problemi di salute, ambientali, sociali ed economici prodotti dall’interazione sinergica di due o più malattie trasmissibili e non trasmissibili, caratterizzata da pesanti ripercussioni, in particolare sulle fasce di popolazione svantaggiata.

Ciò può bastare a comprendere la complessità delle interazioni che si determinano, a tutti i livelli e in tutti i settori, per cui è necessario prepararsi, in tempo e in modo sistemico, per promuovere una risposta alle emergenze coordinata e collaborativa.

Tutte le crisi, epidemiche e non, provocano shock di entità proporzionale alla loro intensità e durata e, quindi, bisogna considerare reazioni di adattamento, mitigazione fino alla trasformazione.

La crisi da Covid-19 sta risvegliando a livello internazionale la necessità di preparazione (preparedness), collaborazione (networking), resilienza (resilience) per rispondere (response) a potenziali future emergenze e promuovere una ripresa (recovery) sostenibile (sustainable), in linea con l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs).

Questo il dizionario, il lessico delle emergenze, della prevenzione e del controllo da tener presente e sviluppare. In modo naturale e, allo stesso tempo, potente emerge l’esigenza di affrontare il tema della preparazione e della risposta alle emergenze in modo olistico, con approccio ‘One Health’ – Una Salute, un unicum della triade umana, animale e ambientale indissolubile e strettamente interconnesso.

A questo punto si fa largo la ‘consilienza’, definita come l’orchestrazione delle scienze, il sapere circolare, proprio nella innovativa intuizione della convergenza olistica per prevenire, prevedere, individuare precocemente e, quindi, rispondere adeguatamente.

Tutto ciò richiede ‘preparedness’, in italiano preparazione ma che verrebbe da tradurre in “preparatezza”, giocando con rispetto e licenza della nostra lingua, per fondere le parole ‘preparazione’, ‘appropriatezza’, ‘consapevolezza’. Una preparazione totale e globale, adeguata, proclamata a gran voce da tutte le autorità e Agenzie competenti: G7, G20, Unione Europea (UE), Organizzazione mondiale della sanità (OMS), Organizzazione mondiale della sanità animale (OIE), Organizzazione dell’agricoltura e dell’alimentazione (FAO).

G7: “G7 leaders agreed to remain committed to taking every necessary measure to ensure a strong and coordinated global response to this health crisis and the associated humanitarian and economic calamity and to launch a strong and sustainable recovery”. (April 16, 2020)

G20: “Leaders discussed how to build back better and pave the way for an inclusive, sustainable and resilient future”. (November 21-22, 2020)

UE: Presidente Consiglio UE Michel: “COVID-19 has come as a surprise to many of us. But it is not the first global pandemic. And sadly, it will not be the last. Looking ahead, the global community has to be better prepared for pandemics”. (November 21-22, 2020)

WHO: “Attempting to save money by neglecting environmental protection, emergency preparedness, health systems, and social safety nets, has proven to be a false economy – and the bill is now being paid many times over.  The world cannot afford repeated disasters on the scale of COVID-19, whether they are triggered by the next pandemic, or from mounting environmental damage and climate change. Going back to ‘normal’ is not good enough”. (Manifesto for a healthy recovery from COVID-19 – May 26, 2020)

OIE: “The COVID-19 pandemic has provided a new evidence that a longstanding and sustainable One Health collaboration is needed” … “COVID-19 has disrupted our present time so much that it has sent shockwaves into the future, creating greater fragments of uncertainty but also space for innovation. We are not quite sure what the future holds but we know that we can influence the future through active preparedness”. (Covid-19 Portal)

FAO: “FAO’s comprehensive and holistic COVID-19 Response and Recovery Programme is designed to proactively and sustainably address the socio-economic impacts of the pandemic. In line with the UN approach to “build back better,” and in pursuit of the Sustainable Development Goals, it aims to mitigate the immediate impacts of the pandemic while strengthening the long-term resilience of food systems and livelihoods”. (FAO Portal)

Dello stesso tenore, l’appello del Club di Roma ai leader mondiali per salvaguardare la salute del Pianeta, con la “OPEN LETTER TO GLOBAL LEADERS – A HEALTHY PLANET FOR HEALTHY PEOPLE – Call to Action: Emerging from the Planetary Emergency and partnering between People and Nature. Pandemia, cambiamento climatico, perdita di biodiversità, crisi economica: per costruire un equilibrio duraturo tra esseri umani e pianeta è necessario uno sforzo collettivo e puntare su redistribuzione, rigenerazione e recupero”. (March 27, 2020)

Questa panoramica internazionale rende bene evidente la già richiamata consapevolezza, il momento storico che stiamo vivendo, e la convergenza olistica che delineano il percorso da intraprendere e seguire, con impegno e determinazione, per essere preparati tutti, comunità e addetti ai lavori, in una visione strategica d’insieme, condivisa, per anticipare, affrontare e superare future minacce, sia di natura epidemica che non epidemica.

La pandemia – sindemia da Covid-19 dimostra che non può esserci crescita economica scissa dallo stato di salute e benessere, fisico e psichico, degli individui. La salute, pubblica, è centrale e va considerata un investimento, come, ancor di più, lo saranno le azioni che verranno intraprese per costruire resilienza con approccio trasformativo, nella consapevolezza e nel metodo, e promuovere quella fondamentale preparazione, senza la quale non potrà esserci un’adeguata risposta.

Ora è il momentum, bisogna tesaurizzare gli intenti e lavorare in modo sinergico verso l’obiettivo comune della preparazione, attraverso la definizione dei ruoli e delle responsabilità, delle diverse attività amministrative, legislative e finanziarie, operative, di pianificazione e coordinamento così come di sorveglianza e approvvigionamento, nonché comunicative e formative.

Il nostro Paese e il suo Servizio Sanitario Nazionale sono organizzati e strutturati per intraprendere senza indugio il percorso. I Dipartimenti di Prevenzione con il supporto scientifico e diagnostico degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali interpretano, da sempre, la convergenza olistica, la consilienza, il sapere circolare degli ufficiali di salute pubblica.

La preparazione non può esistere se non adeguatamente finanziata e l’investimento ammonterebbe solo a una frazione del potenziale costo complessivo dell’impatto di una crisi o della risposta. Diversi studi stimano che un dollaro investito in preparazione corrisponde in un ritorno di valore di almeno il doppio speso in caso di emergenza. Basti riflettere che il costo stimato solo per il 2020, dovuto all’impatto da Covid-19 e misure adottate, sarebbe di circa 12.000 miliardi di dollari a livello globale.

Bisogna investire risorse umane e finanziarie, costruire la resilienza trasformativa in linea con le ‘5P’ della Strategia Nazionale dello Sviluppo Sostenibile: Persone, Pianeta, Prosperità, Pace e Partenariato, e promuovere la Preparazione, la sesta P!

Giugno 27, 2022/da Salvatore Medici
http://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2022/06/EmergencyPreparednessGraph.jpg 336 600 Salvatore Medici http://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2021/10/logo2.png Salvatore Medici2022-06-27 10:27:582022-06-27 10:27:58Preparedness, resilience, response, sustainability, recovery … One Health!

Il Piano nazionale della prevenzione 2020-2025

Contributi

di Pasquale Simonetti 

Il 6 agosto 2020, il nuovo Piano Nazionale della Prevenzione (PNP) 2020-2025 è stato adottato con Intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni.

Il nuovo PNP ha, tra gli altri, due elementi di particolare interesse: un’attenzione alle attività di prevenzione e previsione per la mitigazione dei rischi e gestione delle emergenze e un forte riferimento alla strategia su ambiente e salute dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e degli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima del 2015.

L’emergenza sanitaria, dovuta alla pandemia da COVID-19, ha mostrato quanto gli interventi di Sanità Pubblica siano fondamentali per lo sviluppo economico e sociale di un Paese e come la salute di tutti dipenda dalla salute di ognuno di noi. Il Piano intende rafforzare l’approccio One Health, Una Salute, risultato di uno sviluppo armonico e sostenibile dell’essere umano, della natura e dell’ambiente, così come applicare un approccio multidisciplinare, intersettoriale e coordinato, per affrontare i rischi potenziali o già esistenti all’interfaccia uomo-animali-ecosistemi.

L’Agenda 2030 rappresenta un’evoluzione verso un approccio combinato, in cui tutti gli obiettivi tengono conto degli aspetti economici, sociali e ambientali che impattano sul benessere delle persone e sullo sviluppo delle società e mirano a porre fine alla povertà, restituire la dignità alle persone e, nel contempo, a preservare la natura e l’ambiente.

Nella stessa logica, la Dichiarazione di Ostrava, approvata nel giugno 2017 dai Ministri della salute e dell’ambiente degli Stati membri della Regione europea dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) durante la Sesta Conferenza interministeriale su ambiente e salute, sottolinea la necessità di rafforzare l’impegno a livello internazionale e nazionale per migliorare le strategie di protezione dell’ambiente e prevenire/eliminare gli effetti avversi, i costi e le disuguaglianze delle condizioni che impattano sull’ambiente e sulla salute.

Nel PNP viene, opportunamente, menzionata la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile (SNSvS), come strumento di collegamento tra ambiente-salute e sviluppo dei territori, nonché occasione per il raggiungimento degli obiettivi del Piano, favorendo a vari livelli lo sviluppo di politiche e azioni trasversali e il coinvolgimento dei vari settori su obiettivi condivisi, compresi quelli inerenti alla salute, al benessere e alla qualità della vita.

Il Piano rappresenta la cornice comune degli obiettivi di molte delle aree rilevanti per la Sanità Pubblica, affinché attraverso azioni concrete di prevenzione favorisca il recupero (recovery) e promuova la resilienza (resilience), trasformativa, fondamentale per poter affrontare eventuali futuri eventi, mitigandone i rischi e adattando/trasformando le nostre comunità.

IL PNP 2020-2025 delinea per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) un percorso nella stessa direzione intrapresa dalla Commissione europea 2019-2024, con l’adozione del ‘Green Deal’ europeo e, tra le altre, delle due strategie ‘from Farm to Fork’ e della ‘Biodiversità’, verso il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030.

Vision e principi

La vision del Piano prende spunto dai principali indirizzi delle istituzioni internazionali ed europee, elaborati e adottati con il concorso dei diversi Paesi, tra cui l’Italia.

Questa mette l’attenzione sull’evidenza che il territorio deve essere in grado di rispondere con tempestività ai bisogni della popolazione, sia in caso di un’emergenza infettiva (individuazione casi sospetti e/o positivi e controllo dei contatti, gestione isolamento domiciliare, appropriato ricovero ospedaliero, ecc.), sia per garantire interventi di prevenzione (screening oncologici, vaccinazioni, individuazione dei soggetti a rischio, tutela dell’ambiente, ecc.).

È, quindi, necessario disporre di sistemi flessibili di risposta, di risorse umane capaci di intervenire in tempi rapidi. Questa capacità di reazione alle emergenze va preparata con la formazione di operatori di tutti i settori, che al momento opportuno devono lavorare in sinergia su obiettivi comuni.

Il PNP si sviluppa su diversi principi, tra i quali di particolare interesse sono:

  • Rafforzare l’approccio One Health,
  • Creare alleanze e sinergie intersettoriali tra forze diverse, secondo il principio della ‘Salute in tutte le Politiche’ (Health in all Policies),
  • Porre attenzione alla centralità della persona, attraverso azioni finalizzate a migliorare l’Health Literacy (alfabetizzazione sanitaria), ad accrescere la capacità degli individui di agire per la propria salute e per quella della collettività (empowerment) e a interagire con il sistema sanitario (engagement),
  • Migliorare l’approccio per setting (scuola, ambiente di lavoro, comunità, servizi sanitari, città, etc.), come strumento facilitante per le azioni di promozione della salute e di prevenzione,
  • Rafforzare le Azioni centrali (AC) a supporto del PNP e dei PRP, migliorare la capacità del sistema sanitario di promuovere e governare la prevenzione e di valorizzare la funzione di integrazione tra i diversi livelli di governo,
  • Contrastare le disuguaglianze di salute quale priorità trasversale a tutti gli obiettivi,
  • Favorire il processo di attuazione dei LEA della prevenzione,
  • Rafforzare il sistema di monitoraggio e valutazione dello stato di avanzamento dei programmi e dei risultati di salute e di equità attesi.

Tra i sei Macro Obiettivi del PNP 2020-2025 si evidenziano: ‘Ambiente, clima e salute’ e ‘Malattie infettive prioritarie’.

Approccio metodologico

L’approccio multidisciplinare, intersettoriale e coordinato per affrontare i rischi potenziali o già esistenti è la metodologia scelta per il PNP 2020-2025. Questo approccio, caratteristico della One Health, considera la salute come risultato di uno sviluppo equilibrato e sostenibile dell’essere umano, della natura e dell’ambiente dove la salute delle persone, degli animali e degli ecosistemi sono interconnesse.

L’approccio One Health consente, inoltre, di affrontare la questione trasversale della biodiversità e della salute umana, così come il contrasto efficace all’antimicrobico-resistenza, problema crescente di dimensioni globali, o come la prevenzione di epidemie e pandemie che trovano origine nelle manomissioni e degrado degli ecosistemi, con conseguenti trasferimenti di patogeni (spillover) dalla fauna selvatica a quella domestica, e potenziale successiva trasmissione all’uomo.

Anche alla luce delle recenti esperienze legate alla pandemia da COVID-19, e in un contesto di conseguente crisi economica, è evidente che il SSN debba porsi nuovi obiettivi organizzativi in cui esprimere i valori professionali dei diversi operatori. È indispensabile programmare e progettare sempre più in termini di rete coordinata e integrata tra le diverse strutture e attività presenti nel Territorio. Gli attori, se isolati, non possono rispondere ai nuovi bisogni imposti dall’evoluzione demografica ed epidemiologica.

Protagonista di questo processo di innovazione è il Dipartimento di Prevenzione che, quindi, riveste un ruolo centrale rispetto al raggiungimento dei 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030.

Struttura del PNP

Il Piano individua azioni trasversali, azioni di sistema che contribuiscono ‘trasversalmente’ al raggiungimento degli obiettivi di salute e di equità, volte a rafforzare l’approccio intersettoriale e a perseguire l’equità, la formazione e la comunicazione.

Il profilo di salute ed equità della comunità rappresenta il punto di partenza per la condivisione con la comunità e l’identificazione di obiettivi, priorità e azioni sui quali attivare le risorse della prevenzione e al tempo stesso misurare i cambiamenti del contesto e dello stato di salute, confrontare l’offerta dei servizi con i bisogni della popolazione, monitorando e valutando lo stato di avanzamento nonché l’efficacia delle azioni messe in campo.

La formazione è parte integrante di tutte le strategie, elemento traversale di obiettivi e programmi, essenziale per accrescere le competenze degli operatori sanitari. Essa deve essere fortemente orientata all’azione e i percorsi formativi vanno contestualizzati rispetto all’intervento da realizzare nel territorio.

Nel PNP 2020-2025, la formazione vuole essere finalizzata a permettere l’acquisizione di competenze nuove (es. counseling, Urban Health, ecc.) per il personale dei Dipartimenti di prevenzione, ma anche a fornire nuovi input alla formazione, di base e specialistica, di tutte quelle figure della prevenzione che sono coinvolte nella declinazione regionale e locale. L’attività di formazione si rende, inoltre, necessaria per rinforzare la collaborazione intersettoriale e rendere realmente applicativo il principio One Health.

La comunicazione è uno strumento strategico per aumentare la conoscenza e l’empowerment; promuovere atteggiamenti favorevoli alla salute, favorire modifiche di norme sociali, accesso e adesione ai programmi di prevenzione e di cura, coinvolgimento attivo del cittadino (engagement). Può facilitare la creazione di reti inter-istituzionali e la collaborazione tra le organizzazioni sanitarie e non sanitarie, sostenere la fiducia della popolazione nelle istituzioni sanitarie e contribuire all’accountability del sistema salute.

La comunicazione va sviluppata sia come comunicazione sanitaria, sia come comunicazione per la salute, rispettivamente finalizzate alla ‘mappatura’ e alla diffusione delle opportunità di salute presenti sul territorio e alla produzione e alla condivisione, all’interno della comunità, di conoscenza sui problemi di salute, con l’obiettivo di orientamento, responsabilizzazione, consapevolezza e motivazione delle persone e di supporto alle decisioni e alle politiche.

Le Linee di supporto centrali, dette anche Azioni centrali (AC) del PNP, pertinenti al livello di governo centrale, sono finalizzate a migliorare la capacità del sistema sanitario di promuovere e governare la prevenzione e a rendere più efficiente ed efficace l’insieme delle relazioni tra attori istituzionali (e tra questi e gli stakeholder) e, in generale, a facilitare il raggiungimento degli obiettivi del Piano.

Il PNP valorizza la funzione di integrazione tra i diversi livelli di governo e individua 14 Linee di supporto centrali, definendole in termini di elementi pianificatori e operativi (obiettivi specifici, output attesi e responsabilità). Di seguito, con lo scopo ultimo di introdurre il lettore all’intera struttura del Piano, si illustrano quelle relative al tema della gestione delle emergenze e all’approccio One Health.

LINEA N. 4: Promozione, a livello nazionale e regionale, del coordinamento e della definizione di politiche, programmi e interventi integrati in campo ambientale e sanitario

Obiettivo: ‘Promuovere l’integrazione e il coordinamento degli interventi per la tutela della salute e dell’ambiente, individuando i settori di azione congiunta e definendo programmi operativi e linee di indirizzo’

Output: ‘Accordo Quadro tra Ministero della salute, Ministero dell’ambiente e Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano’

LINEA N. 5: Integrazione delle informazioni derivanti da dati ambientali e sanitari per il miglioramento delle conoscenze su rischi ambientali e salute e loro relazioni

Obiettivo: ‘Consentire la lettura integrata dei dati ambientali e sanitari e favorire il dialogo, la collaborazione e la condivisione di esperienze tra tutti i soggetti interessati dei settori Ambiente e Salute’

Output: ‘Sviluppo di un sistema informativo nazionale integrato ambiente e salute per la lettura combinata dei dati di monitoraggio/esposizione/effetto, anche ai fini della stima degli impatti sulla salute della popolazione; Istituzione di una rete nazionale integrata ambiente e salute, costituita da operatori del SSN e SNPA, e istituzioni centrali per la condivisione di conoscenze ed esperienze sviluppate a livello regionale in materia di ambiente e salute e a supporto delle attività di valutazione degli impatti sanitari di politiche, piani e programmi’

LINEA N. 12: Sviluppo dell’approccio One Health e Planetary Health per la governance della prevenzione primaria post COVID-19

Obiettivo: ‘Sostenere il ruolo della prevenzione primaria sul rischio ambientale delle malattie infettive emergenti (EID) e sull’evoluzione delle epidemie’

Output: ‘Predisporre una linea guida di policy per sostenere il ruolo e per l’integrazione delle attività dei sistemi di prevenzione di salute ambientale, umana e veterinaria’

LINEA N. 13: Predisposizione, aggiornamento e attuazione di un piano nazionale condiviso tra diversi livelli istituzionali per la preparazione e la risposta a una pandemia influenzale

Obiettivo: ‘Definire ruoli e responsabilità dei diversi soggetti a livello nazionale, regionale e locale per l’attuazione delle misure previste dalla pianificazione ed altre eventualmente decise’

Output: ‘Accordo tra Ministero della salute e Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano’

 

I Piani regionali della prevenzione (PRP)

Il PNP 2020-2025 rappresenta uno strumento strategico per iniziative multisettoriali utili ad armonizzare e integrare il sistema prevenzione nel Paese, secondo un approccio di tutto il governo, nazionale o locale, e dell’intera società (whole-of-government e whole-of-society).

Ogni Regione dovrà predisporre e approvare un proprio Piano locale (PRP), declinando contenuti, obiettivi, linee di azione e indicatori del Piano nazionale all’interno dei contesti regionali e locali.

Il PNP e i PRP svolgono, pertanto, un ruolo di governance e orientamento, favorendo il collegamento e l’integrazione tra le azioni previste da leggi, regolamenti, Piani di settore.

Tra le principali aree di integrazione, si citano:

– gestione delle emergenze epidemiche umane ed animali, incluso il COVID-19,

– malattie trasmesse da vettori,

– malattie trasmesse con gli alimenti,

– igiene urbana veterinaria,

– produzione, commercio ed impiego di prodotti chimici tra cui i fitosanitari,

– prevenzione del ‘rischio chimico’,

– integrazione delle tematiche ambientali con quelle relative alla promozione della salute.

Fondamentali nella governance della prevenzione, per tutti i livelli (centrale, regionale e locale), sono il monitoraggio e la valutazione del PNP e dei PRP per misurarne l’impatto sia nei processi sia negli esiti di salute. Strumento operativo complementare a quest’ultima funzione è l’attività di verifica degli adempimenti dei Livelli essenziali di Assistenza (LEA) e loro monitoraggio.

Il Piano individua la necessità di un sistema di valutazione costruito a partire da framework e modelli interpretativi, basati su evidenze e contestualizzabili nelle realtà territoriali, per il monitoraggio di tutto il suo percorso con una ricaduta per Regioni e Aziende sanitarie, in termini di: misurazione delle performance dei sistemi regionali e aziendali, applicazione di metodi e strumenti orientati ad una valutazione di impatto, rilevazione e trasferimento di buone pratiche locali.

Il Ministero della salute guida la programmazione, svolgendo una funzione di indirizzo, promozione e coordinamento centrale, nonché di accompagnamento alle Regioni, che a loro volta svolgono tale funzione nei confronti delle Aziende sanitarie.

Giugno 27, 2022/da Salvatore Medici
http://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2022/06/Pnp.jpg 390 700 Salvatore Medici http://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2021/10/logo2.png Salvatore Medici2022-06-27 10:24:412022-06-27 10:25:08Il Piano nazionale della prevenzione 2020-2025

Il Piano nazionale d’emergenza per alimenti e mangimi

Contributi

di Anna Romano

Con la decisione (UE) 2019/300 la Commissione Europea ha istituito un nuovo piano generale per la gestione delle crisi nel settore degli alimenti e dei mangimi a seguito dell’esperienza, non sempre positiva, maturata negli ultimi anni e della valutazione REFIT del regolamento (CE) 178/2002 (vaglio di adeguatezza della legislazione alimentare generale). E’ stato potenziato e precisato quanto stabilito dalla precedente decisione della Commissione, nel frattempo abrogata, ponendo l’accento sulla preparazione alle crisi, oltre che sulla loro gestione.

Obiettivo principale del piano è tutelare la salute pubblica nell’Unione, garantendo una risposta rapida ed efficace e con minore impatto economico nei settori interessati. I rischi di una crisi alimentare possono essere di natura biologica, chimica e fisica e comprendono i pericoli connessi alla radioattività ed agli  allergeni.

Il piano si applica a situazioni che comportano rischi derivanti da alimenti e mangimi, che verosimilmente le disposizioni in vigore non sono in grado di prevenire, eliminare o ridurre a un livello accettabile o che non possono essere gestiti in maniera adeguata mediante la sola applicazione delle misure urgenti di cui all’articolo 53 o all’articolo 54 del Regolamento (CE) n. 178/2002.

L’impostazione, i principi e le procedure pratiche del piano generale potrebbero però anche essere considerati come orientamenti per la gestione di altre crisi di origine alimentare che non comportano rischi per la salute pubblica (Decisione CE 2019/300, Considerando 8).

Il nuovo piano si basa su tre concetti-chiave: gradualità, coordinamento rafforzato a livello dell’Unione, strategia di comunicazione conforme al principio della trasparenza.

La Commissione prevede un approccio graduale ai tipi di situazioni da trattare come “crisi”, in base alla gravità e alla portata dell’incidente in termini di effetti sulla salute pubblica. Non tutte le situazioni infatti richiedono necessariamente l’attivazione di un’unità di crisi, ma possono beneficiare di un coordinamento rafforzato a livello dell’Unione.

Per decidere del livello di intervento la classificazione del rischio diventa essenziale e deve essere tempestiva. Va tenuto conto della natura, gravità e prevedibile ampiezza dell’incidente, ma anche delle sensibilità politiche e dei consumatori.

Il coordinamento tra Stati membri e Commissione, come quello tra sistemi di allerta, laboratori ed agenzie (EFSA ed altri organismi di valutazione), deve garantire una risposta rapida all’insorgere dell’emergenza, per consentire la messa a punto di strategie efficaci. Viene perciò rafforzato il collegamento tra SARR (Sistema di allarme rapido e di reazione) e RASFF (Sistema di allerta rapido su alimenti, mangimi e materiali a contatto)[1], nella logica ‘One Health’.  La Commissione Europea  assume un ruolo “più incisivo” in termini di comunicazione e di coordinamento generale degli Stati membri per evitare le crisi.

Vengono definite le regole della strategia di comunicazione al pubblico dei rischi e delle misure adottate in caso di incidenti alimentari. Comuni denominatori di tali regole sono la trasparenza e la chiarezza delle informazioni divulgate attraverso i possibili canali, al fine di evitare distorsioni del mercato ed inutili allarmismi. Il flusso di notizie va gestito dalla Commissione in sinergia e sintonia con gli Stati Membri ed in linea con le agenzie scientifiche europee (Efsa, Ecdc) e le reti internazionali (Infosan) per garantire la coerenza dei messaggi.

Il “Piano nazionale d’emergenza per alimenti e mangimi”

In armonia con il Piano generale per la gestione delle crisi a livello dell’Unione, con l’intesa Stato Regioni dell’8 Aprile 2020 (Rep. Atti n.61/CSR) è stato adottato il “Piano nazionale d’emergenza per alimenti e mangimi” (in attuazione dell’articolo 115 del regolamento (UE) n. 2017/625 e dell’art.8 della decisione di esecuzione (UE) 2019/300 della Commissione del 19 febbraio 2019).

Il piano nazionale individua le Autorità competenti coinvolte (Ministero della salute, Regioni ed ASL) ed il Coordinatore di crisi nazionale,  punto di contatto unico per assicurare uno scambio di informazioni efficace tra tutte le parti coinvolte e figura cardine per garantire l’efficienza degli interventi attuati.

Il piano copre eventi che richiedono un coordinamento rafforzato a livello nazionale ed eventi che richiedono l’istituzione di un’unità di crisi che riunisca le Autorità competenti ed i pertinenti Istituti scientifici nazionali. Diventa  fondamentale definire il livello di gestione di un evento, al fine di stabilire se per il suo superamento è sufficiente l’applicazione delle sole misure previste dal sistema di allerta rapido (RASFF) o se è necessario un coordinamento rafforzato o l’attivazione delle Unità di crisi (Appendice 1 dell’Intesa). Di supporto è la valutazione rapida del rischio ( risk evaluation) che prende in considerazione tutti i fattori rilevanti per determinare la natura di un evento ed è affidata alle istituzioni scientifiche di riferimento (ISS, IZS,etc.).

Dal punto di vista operativo il piano fornisce un quadro completo delle attività chiave da intraprendere per reagire ad un evento avverso non routinario nel settore alimentare e/o dei mangimi; le procedure da seguire sono comuni e vanno applicate da tutti i livelli amministrativi coinvolti nel controllo ufficiale degli alimenti e dei mangimi, centrale, regionale e locale.  E’ necessario, pertanto, che le Autorità competenti assicurino adeguata formazione e continuo aggiornamento, con esercitazioni pratiche e simulazioni,  per garantire la  corretta applicazione delle procedure previste nella gestione delle emergenze alimentari, inclusa una corretta e trasparente informazione dei cittadini sui rischi in corso e sulle misure adottate per contenere o eliminare il rischio.

A crisi terminata va avviato il processo di valutazione post-crisi che prende in considerazione 3 componenti: la valutazione del rischio (risk  assessment), la valutazione delle attività di gestione della crisi e la valutazione delle attività di comunicazione del rischio. I possibili insegnamenti da trarre costituiranno spunti per la revisione delle procedure operative e degli strumenti utilizzati nella gestione delle crisi in un ciclo continuo di miglioramento del sistema.

 

 

 

 

 

Giugno 27, 2022/da Salvatore Medici
http://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2022/06/straw-role-gff205fe91_1280.jpg 1008 1280 Salvatore Medici http://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2021/10/logo2.png Salvatore Medici2022-06-27 10:19:082022-06-27 10:19:08Il Piano nazionale d’emergenza per alimenti e mangimi

Disaster Management e Agenda 2030: la prevenzione sostenibile

Contributi

di Pasquale Simonetti.

Il nostro pianeta Terra è vivo e vivente, un sistema naturale, aperto, ciclico, ricco, anche usato, o meglio abusato, violentato e, a volte, disastrato.

Lo studio retrospettivo e l’approfondimento di politiche, strategie, piani di azioni, articoli, dichiarazioni, linee guida portano a riflettere sulle principali tappe evolutive di presenza dell’uomo sulla Terra e sull’accelerazione che ne ha contraddistinto l’ultimo recente periodo. Il nostro pianeta sembra avere un’età di circa quattro/sei miliardi di anni. L’essere umano è datato intorno a quattro e sette milioni di anni fa. Mentre circa centodiecimila anni fa compare l’Homo Sapiens.

In questo contesto, è possibile individuare tre principali tappe evolutive ‘Ere’, che caratterizzano la presenza dell’Homo Sapiens: contadina, industriale e Antropocene.

Con l’era contadina o agricola l’Homo Sapiens, circa 8000 anni fa, inizia a utilizzare le risorse naturali messe a disposizione dal pianeta Terra, si organizza e si moltiplica. La coltura della Terra permette di passare alla coltivazione dei vegetali e all’allevamento degli animali, dando origine alla prima vera e propria rivoluzione, culturale ed energetica, ‘agricola’.

Circa 200 anni fa, si è avuta una seconda importante rivoluzione, non limitata all’utilizzo delle risorse naturali disponibili come i vegetali, il sole, il vento e l’acqua, che ha introdotto attività di trasformazione energetica. L’era industriale, passando gradualmente e progressivamente dall’utilizzo delle risorse naturali a quello delle risorse fossili e loro trasformazione, determinando una crescita esponenziale.

L’utilizzo delle risorse fossili ha prodotto un inarrestabile aumento del disordine, di tutti quei rifiuti che alterano il naturale equilibrio terrestre con inevitabili ripercussioni sul pianeta e sul suo abitante. Antropocene, termine divulgato dal premio Nobel per la chimica atmosferica Paul Crutzen, per definire l’era geologica in cui l’ambiente terrestre, inteso come l’insieme delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche in cui si svolge ed evolve la vita, è fortemente condizionato a scala sia locale sia globale dagli effetti dell’azione umana.

Nel tempo, soprattutto recente, il disordine antropico ed entropico ha superato e, per certi versi, quasi compromesso l’ordine naturale.

Menti illuminate, quale quella di Aurelio Peccei e studi previsionali avevano preannunciato gli attuali scenari, già circa 50 anni fa nel 1972 con ‘I limiti alla crescita’, evidenziando esigenze irrinunciabili, purtroppo sottovalutate e disattese.

Ogni anno l’economia mondiale consuma quasi 93 miliardi di tonnellate di materie prime tra minerali, combustibili fossili, metalli e biomassa. Il consumo di risorse è triplicato dal 1970 e potrebbe raddoppiare entro il 2050.

Tutto ciò presuppone un approccio olistico, sistematico e integrato, che tenga conto, inter alias, di sostenibilità (equilibrio), resilienza (adattamento) e circolarità (risparmio), dove resilienza e circolarità rappresentano due concetti avanzati, inseriti in quello più ampio di sostenibilità.

Sostenibilità fa riferimento a uno sviluppo che soddisfa le necessità di oggi senza compromettere le capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie, garantendo un mondo in uno stato di equilibrio che deve essere mantenuto quanto più stabile possibile.

Resilienza e processi economici sono strettamente connessi.

Se con il termine di resilienza si indica la capacità di un sistema di rispondere in modo adattivo a sollecitazioni o a cambiamenti esterni più o meno traumatici, con circolarità si intende la riconfigurazione dell’attuale sistema produttivo e di consumo attraverso un processo di auto-rigenerazione, in modo che un rifiuto diventi una materia prima.

Tematiche queste centrali dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, adottata nel 2015, che declina 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs), target e indicatori fondamentali nei diversi settori per garantire il futuro al pianeta e a noi suoi abitanti, e si fonda su tre principi: integrazione, universalità e partecipazione e su quattro pilastri: economia, società, ambiente e Istituzioni.

Il raggiungimento degli obiettivi è possibile solo con l’adozione e l’attuazione di politiche integrate e di comportamenti individuali che abbiano sempre presente sostenibilità, resilienza e circolarità.

Esempio concreto è l’iniziativa della nuova Commissione europea (2019-2024), molto impegnata e determinata sul fronte del raggiungimento degli obiettivi dello sviluppo sostenibile previsti dall’Agenda 2030 e, nello specifico, della Direzione generale salute e sicurezza alimentare (DG SANTE) che, nell’ambito dello ‘European Green Deal’, ha presentato la strategia ‘dal produttore al consumatore’ (from farm to fork)) per migliorare la qualità delle produzioni, così come tutelare l’ambiente e promuovere la sostenibilità dei sistemi alimentari, mediante il coinvolgimento di tutti gli attori.

È fondamentale considerare l’impatto sull’ambiente dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici, il depauperamento delle risorse naturali e la perdita delle biodiversità.

Come bisogna non trascurare gli ambienti urbani, i nuovi stili di vita e le conseguenti malattie croniche non trasmissibili: respiratorie, cardiovascolari, tumorali e diabete, responsabili del 71% delle morti globali, 80% delle morti premature, uccidendo 41 milioni di persone ogni anno, e promuovere diete salutari e sostenibili, tradizionali, come la Dieta Mediterranea.

Alcuni ricercatori hanno, poi, sottolineato lo stretto legame tra sviluppo, sostenibile, e convivenza in equilibrio con il pianeta e il suo ecosistema. Il rischio di insorgenza di pandemie non dipende di per sé dalla presenza di aree naturali o di animali selvatici, ma piuttosto dal modo in cui le attività antropiche influiscono su queste aree e queste specie, rappresentando un punto cieco (blind spot) nei piani di sviluppo sostenibile, cui non vengono dedicate sufficienti misure di prevenzione.

I disastri, naturali o causati, questi da noi chiaramente, sono causa delle emergenze non epidemiche che come quelle epidemiche, una volta verificatesi, vanno affrontate e gestite.

Tanto, però, può la prevenzione, sostenibile, promuovendo resilienza e circolarità nel mitigare e adattare, fino a trasformare, attraverso la conoscenza e la consapevolezza, alla cui base ci sono la formazione continua e la comunicazione, che permettono di prevedere (forecast), intuire (foresight) e, quindi, anticipare (anticipation) scenari futuri attraverso la pianificazione (piani di azioni – di settore).

“Il futuro è molto aperto, e dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno, oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e dai nostri timori. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che sono aperte”.

“Per costruire un futuro migliore ci serve un’utopia. Un’utopia sostenibile. È richiesto l’impegno di tutti e un profondo cambiamento del modo in cui leggiamo e affrontiamo i problemi che ci circondano”.

La prevenzione prevede una iniziale e corretta valutazione (assessment) per cui sono fondamentali conoscenza e analisi, seguite poi da pianificazione (planning) e attuazione (implementation), queste in comune con la gestione (management), che si concretizza in preparazione (preparedness) e risposta (response).

La prevenzione e, poi, la gestione delle emergenze in sanità pubblica sono multi, inter e, perché no, trans disciplinari e, grazie alla struttura e all’organizzazione del nostro Servizio Sanitario Nazionale, sul territorio operano i Dipartimenti di Prevenzione con un ruolo fondamentale, sia nell’ottica dell’approccio ‘One Health’ che di supporto al Sistema di Protezione Civile con la Funzione 2 – Sanità umana e veterinaria e assistenza sociale.

Prevenzione e gestione sono interdipendenti, inversamente proporzionali e in equilibrio critico, come piatti di una bilancia dove il maggiore o minore peso della prima determina e influenza quello della seconda.

Il modo meno costoso per reagire a un evento catastrofico è, in primo luogo, prevenirlo.

 

 

Maggio 9, 2022/da Salvatore Medici
http://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2022/05/agenda.jpg 233 465 Salvatore Medici http://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2021/10/logo2.png Salvatore Medici2022-05-09 16:10:232022-05-09 16:11:28Disaster Management e Agenda 2030: la prevenzione sostenibile

Tecniche per il soccorso di animali di grande taglia

Contributi

di Augusto Carluccio; Roberta Bucci; Riccardo Suriano.

Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Teramo, Ospedale Veterinario Universitario Didattico.

L’obiettivo delle tecniche di salvataggio nell’emergenza epidemica e non epidemica (R.P.V. 320/54 e succ. mod.) in cui sono coinvolti gli animali, soprattutto di grande mole, è quello di proteggere gli stessi da situazioni di pericolo senza causare incidenti o morte dell’animale e/o del personale di soccorso.

Le tecniche di salvataggio di grandi animali rappresentano una specialità della Medicina Veterinaria che rientra nell’ambito della Disaster Medicine. Negli scenari di emergenza sono coinvolti molteplici pazienti, spesso di specie diverse, e la corretta riuscita di un’operazione è in funzione della preparazione/formazione del personale, che precede l’evento inaspettato.

Sempre più alcuni grandi animali, in particolar modo i cavalli, come già succede per i piccoli animali da compagnia (pets), sono, per i loro proprietari, dei componenti del nucleo famigliare.

Un’adeguata formazione nella serie di operazioni di salvataggio migliora la percentuale di successo dell’intervento passando dal 4-10 % al 96% (1) riducendo, anche, al minimo la prevalenza d’infortuni secondari ai soccorritori.

Gli animali da reddito etologicamente sono delle prede ed in situazioni sfavorevoli l’istinto di sopravvivenza prende il sopravvento sull’addomesticamento. Se le condizioni di salvataggio risultano troppo pericolose per l’incolumità dei soccorritori, in una valutazione del rischio, tutti i protocolli di intervento raccomandano di rinunciare al salvataggio.

E’ da sottolineare che la conoscenza del comportamento della specie animale da soccorrere è fondamentale per una buona riuscita dell’intervento.

IL SOCCORSO

L’insieme di operazioni da porre in essere in una situazione di soccorso prevede innanzitutto una risposta da parte di personale qualificato. Questo deve raccogliere adeguate informazioni sulla natura dell’emergenza, sugli animali coinvolti e deve coordinare l’arrivo dei professionisti e dei mezzi idonei al trasporto e/o adeguatamente equipaggiati con sistemi di recupero attrezzati per il primo soccorso.

Per approfondire la tematica scarica l’articolo intero qui 

Soccorso grandi animali in emergenza

Maggio 9, 2022/da Salvatore Medici
http://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2022/05/cavalli.jpg 270 450 Salvatore Medici http://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2021/10/logo2.png Salvatore Medici2022-05-09 16:01:582022-05-09 16:01:58Tecniche per il soccorso di animali di grande taglia

Ha senso oggi una Scuola Internazionale di maxiemergenze?

Contributi

Di Enrico Bernini-Carri – Presidente del CEMEC- Consiglio d’Europa

Che la Protezione Civile italiana possa essere considerata una delle migliori e più efficienti del mondo è ormai cosa evidente e riconosciuta, anche in virtù della grande esperienza maturata dal terremoto dell’Irpinia dal 1980 in poi. Personaggi come Alberto Mantovani per la veterinaria, il Ministro Giuseppe Zamberletti poi, hanno tracciato una strada che oggi ci ha portato a essere presenti sul territorio nazionale con una realtà di organizzazione nazionale e regionale di Protezione Civile che si distingue per rara capacità di intervento e di programmazione. Il ruolo stesso del volontariato in questi anni è cresciuto esponenzialmente in professionalità ed efficienza (esperienza unica nel mondo per numero e qualità dei partecipanti).

Una domanda, allora, mi sorge spontanea: come mai con un’esperienza e una capacità così elevata, in tutti questi anni non siamo riusciti a organizzare una Scuola Nazionale di Protezione Civile che possa formare i quadri dirigenti nazionali, regionali e direttivi delle organizzazioni di volontariato?

In trent’anni di esperienza in questo settore (dapprima come medico militare, poi come docente universitario e infine come presidente del CEMEC (Centro Europeo di Medicina delle Emergenze e Catastrofi), ho visto nascere, sopravvivere e morire Scuole di Formazione Regionali e locali che hanno avuto qualche anno (o a volte qualche mese) di gloria, per poi scomparire in un limbo di inutilità e inefficienza o di “galleggiamento”; di contro sono proliferati Master Universitari, Corsi di Formazione o perfezionamento di Organizzazioni di Volontariato, a volte molto avanzati ed efficienti, a volte francamente autoreferenziali  e ripetitivi, in mano spesso a persone che hanno lucrato sulla buona volontà di studenti e di cittadini interessati.

Credo sia arrivato il momento di mettere un po’ d’ordine in questo “mare magnum” di istruzioni, formazioni, scuole che hanno finora intercettato e vicariato a una richiesta di professionalità in un campo che, sempre di più, è evoluto in una scienza precisa.

Da queste brevi considerazioni e da chi come attore ha fatto parte del complesso mondo delle maxiemergenze, è nata l’esigenza di poter ordinatamente confrontare esperienze consolidate (lessons learned), nozioni scientifiche integrate e prospettive di sviluppo in questo complesso campo; il tempo dell’”armiamoci e partiamo” è finito (e dubito sia mai esistito nel vasto e integrato pianeta delle emergenze): è ora che la professionalità di tutti gli operatori o almeno di coloro che li dirigono e si interessano a questo mondo, trovi un riferimento culturale stabile e solido.

I Corsi di Disaster Managers, i diversi Master Universitari, hanno tracciato un percorso che merita di essere sviluppato e integrato e in quest’ottica il Consiglio d’Europa, tramite il CEMEC, con l’Accordo Europeo-Mediterraneo sui Rischi Maggiori, ha sposato appieno l’idea di creare una Scuola Internazionale sui Disastri che possa diventare, col tempo, non solo un riferimento nazionale ma anche rappresentare un riferimento culturale internazionale, integrando docenti italiani e stranieri, ognuno con le loro peculiarità, ,ognuno con le proprie esperienze.

Solo un luogo di cultura internazionale di confronto tra realtà, a volte molto diverse (ma tutte con la base comune di saper gestire le emergenze nell’interesse della popolazione), potrà consentirci di continuare a crescere e far crescere quelle nazioni che, per inesperienza o per difficoltà organizzative, non hanno ancora avuto modo di configurare servizi completi ed efficienti di Protezione Civile. Solo una Scuola comune potrà rappresentare un luogo di confronto e di implementazione tra esperienze differenti a livello nazionale, europeo e internazionale e contemporaneamente raggiungere l’obiettivo (perseguito dal Consiglio d’Europa, ma condiviso da tutte le Nazioni) di far crescere la “resilienza” della popolazione, in un mondo dove le catastrofi sono sempre più presenti e devastanti a causa dei cambiamenti climatici e la continua antropizzazione del suolo.

Maggio 9, 2022/da Salvatore Medici
http://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2022/05/11_Bernini.jpg 1536 2304 Salvatore Medici http://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2021/10/logo2.png Salvatore Medici2022-05-09 15:54:442022-05-09 15:54:44Ha senso oggi una Scuola Internazionale di maxiemergenze?
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Maggio 9, 2022/da Salvatore Medici

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