Disastrologia Veterinaria
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Disaster Management e Agenda 2030: la prevenzione sostenibile

Contributi

di Pasquale Simonetti.

Il nostro pianeta Terra è vivo e vivente, un sistema naturale, aperto, ciclico, ricco, anche usato, o meglio abusato, violentato e, a volte, disastrato.

Lo studio retrospettivo e l’approfondimento di politiche, strategie, piani di azioni, articoli, dichiarazioni, linee guida portano a riflettere sulle principali tappe evolutive di presenza dell’uomo sulla Terra e sull’accelerazione che ne ha contraddistinto l’ultimo recente periodo. Il nostro pianeta sembra avere un’età di circa quattro/sei miliardi di anni. L’essere umano è datato intorno a quattro e sette milioni di anni fa. Mentre circa centodiecimila anni fa compare l’Homo Sapiens.

In questo contesto, è possibile individuare tre principali tappe evolutive ‘Ere’, che caratterizzano la presenza dell’Homo Sapiens: contadina, industriale e Antropocene.

Con l’era contadina o agricola l’Homo Sapiens, circa 8000 anni fa, inizia a utilizzare le risorse naturali messe a disposizione dal pianeta Terra, si organizza e si moltiplica. La coltura della Terra permette di passare alla coltivazione dei vegetali e all’allevamento degli animali, dando origine alla prima vera e propria rivoluzione, culturale ed energetica, ‘agricola’.

Circa 200 anni fa, si è avuta una seconda importante rivoluzione, non limitata all’utilizzo delle risorse naturali disponibili come i vegetali, il sole, il vento e l’acqua, che ha introdotto attività di trasformazione energetica. L’era industriale, passando gradualmente e progressivamente dall’utilizzo delle risorse naturali a quello delle risorse fossili e loro trasformazione, determinando una crescita esponenziale.

L’utilizzo delle risorse fossili ha prodotto un inarrestabile aumento del disordine, di tutti quei rifiuti che alterano il naturale equilibrio terrestre con inevitabili ripercussioni sul pianeta e sul suo abitante. Antropocene, termine divulgato dal premio Nobel per la chimica atmosferica Paul Crutzen, per definire l’era geologica in cui l’ambiente terrestre, inteso come l’insieme delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche in cui si svolge ed evolve la vita, è fortemente condizionato a scala sia locale sia globale dagli effetti dell’azione umana.

Nel tempo, soprattutto recente, il disordine antropico ed entropico ha superato e, per certi versi, quasi compromesso l’ordine naturale.

Menti illuminate, quale quella di Aurelio Peccei e studi previsionali avevano preannunciato gli attuali scenari, già circa 50 anni fa nel 1972 con ‘I limiti alla crescita’, evidenziando esigenze irrinunciabili, purtroppo sottovalutate e disattese.

Ogni anno l’economia mondiale consuma quasi 93 miliardi di tonnellate di materie prime tra minerali, combustibili fossili, metalli e biomassa. Il consumo di risorse è triplicato dal 1970 e potrebbe raddoppiare entro il 2050.

Tutto ciò presuppone un approccio olistico, sistematico e integrato, che tenga conto, inter alias, di sostenibilità (equilibrio), resilienza (adattamento) e circolarità (risparmio), dove resilienza e circolarità rappresentano due concetti avanzati, inseriti in quello più ampio di sostenibilità.

Sostenibilità fa riferimento a uno sviluppo che soddisfa le necessità di oggi senza compromettere le capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie, garantendo un mondo in uno stato di equilibrio che deve essere mantenuto quanto più stabile possibile.

Resilienza e processi economici sono strettamente connessi.

Se con il termine di resilienza si indica la capacità di un sistema di rispondere in modo adattivo a sollecitazioni o a cambiamenti esterni più o meno traumatici, con circolarità si intende la riconfigurazione dell’attuale sistema produttivo e di consumo attraverso un processo di auto-rigenerazione, in modo che un rifiuto diventi una materia prima.

Tematiche queste centrali dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, adottata nel 2015, che declina 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs), target e indicatori fondamentali nei diversi settori per garantire il futuro al pianeta e a noi suoi abitanti, e si fonda su tre principi: integrazione, universalità e partecipazione e su quattro pilastri: economia, società, ambiente e Istituzioni.

Il raggiungimento degli obiettivi è possibile solo con l’adozione e l’attuazione di politiche integrate e di comportamenti individuali che abbiano sempre presente sostenibilità, resilienza e circolarità.

Esempio concreto è l’iniziativa della nuova Commissione europea (2019-2024), molto impegnata e determinata sul fronte del raggiungimento degli obiettivi dello sviluppo sostenibile previsti dall’Agenda 2030 e, nello specifico, della Direzione generale salute e sicurezza alimentare (DG SANTE) che, nell’ambito dello ‘European Green Deal’, ha presentato la strategia ‘dal produttore al consumatore’ (from farm to fork)) per migliorare la qualità delle produzioni, così come tutelare l’ambiente e promuovere la sostenibilità dei sistemi alimentari, mediante il coinvolgimento di tutti gli attori.

È fondamentale considerare l’impatto sull’ambiente dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici, il depauperamento delle risorse naturali e la perdita delle biodiversità.

Come bisogna non trascurare gli ambienti urbani, i nuovi stili di vita e le conseguenti malattie croniche non trasmissibili: respiratorie, cardiovascolari, tumorali e diabete, responsabili del 71% delle morti globali, 80% delle morti premature, uccidendo 41 milioni di persone ogni anno, e promuovere diete salutari e sostenibili, tradizionali, come la Dieta Mediterranea.

Alcuni ricercatori hanno, poi, sottolineato lo stretto legame tra sviluppo, sostenibile, e convivenza in equilibrio con il pianeta e il suo ecosistema. Il rischio di insorgenza di pandemie non dipende di per sé dalla presenza di aree naturali o di animali selvatici, ma piuttosto dal modo in cui le attività antropiche influiscono su queste aree e queste specie, rappresentando un punto cieco (blind spot) nei piani di sviluppo sostenibile, cui non vengono dedicate sufficienti misure di prevenzione.

I disastri, naturali o causati, questi da noi chiaramente, sono causa delle emergenze non epidemiche che come quelle epidemiche, una volta verificatesi, vanno affrontate e gestite.

Tanto, però, può la prevenzione, sostenibile, promuovendo resilienza e circolarità nel mitigare e adattare, fino a trasformare, attraverso la conoscenza e la consapevolezza, alla cui base ci sono la formazione continua e la comunicazione, che permettono di prevedere (forecast), intuire (foresight) e, quindi, anticipare (anticipation) scenari futuri attraverso la pianificazione (piani di azioni – di settore).

“Il futuro è molto aperto, e dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno, oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e dai nostri timori. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che sono aperte”.

“Per costruire un futuro migliore ci serve un’utopia. Un’utopia sostenibile. È richiesto l’impegno di tutti e un profondo cambiamento del modo in cui leggiamo e affrontiamo i problemi che ci circondano”.

La prevenzione prevede una iniziale e corretta valutazione (assessment) per cui sono fondamentali conoscenza e analisi, seguite poi da pianificazione (planning) e attuazione (implementation), queste in comune con la gestione (management), che si concretizza in preparazione (preparedness) e risposta (response).

La prevenzione e, poi, la gestione delle emergenze in sanità pubblica sono multi, inter e, perché no, trans disciplinari e, grazie alla struttura e all’organizzazione del nostro Servizio Sanitario Nazionale, sul territorio operano i Dipartimenti di Prevenzione con un ruolo fondamentale, sia nell’ottica dell’approccio ‘One Health’ che di supporto al Sistema di Protezione Civile con la Funzione 2 – Sanità umana e veterinaria e assistenza sociale.

Prevenzione e gestione sono interdipendenti, inversamente proporzionali e in equilibrio critico, come piatti di una bilancia dove il maggiore o minore peso della prima determina e influenza quello della seconda.

Il modo meno costoso per reagire a un evento catastrofico è, in primo luogo, prevenirlo.

 

 

Maggio 9, 2022/da Salvatore Medici
https://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2022/05/agenda.jpg 233 465 Salvatore Medici https://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2021/10/logo2.png Salvatore Medici2022-05-09 16:10:232022-05-09 16:11:28Disaster Management e Agenda 2030: la prevenzione sostenibile

Tecniche per il soccorso di animali di grande taglia

Contributi

di Augusto Carluccio; Roberta Bucci; Riccardo Suriano.

Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Teramo, Ospedale Veterinario Universitario Didattico.

L’obiettivo delle tecniche di salvataggio nell’emergenza epidemica e non epidemica (R.P.V. 320/54 e succ. mod.) in cui sono coinvolti gli animali, soprattutto di grande mole, è quello di proteggere gli stessi da situazioni di pericolo senza causare incidenti o morte dell’animale e/o del personale di soccorso.

Le tecniche di salvataggio di grandi animali rappresentano una specialità della Medicina Veterinaria che rientra nell’ambito della Disaster Medicine. Negli scenari di emergenza sono coinvolti molteplici pazienti, spesso di specie diverse, e la corretta riuscita di un’operazione è in funzione della preparazione/formazione del personale, che precede l’evento inaspettato.

Sempre più alcuni grandi animali, in particolar modo i cavalli, come già succede per i piccoli animali da compagnia (pets), sono, per i loro proprietari, dei componenti del nucleo famigliare.

Un’adeguata formazione nella serie di operazioni di salvataggio migliora la percentuale di successo dell’intervento passando dal 4-10 % al 96% (1) riducendo, anche, al minimo la prevalenza d’infortuni secondari ai soccorritori.

Gli animali da reddito etologicamente sono delle prede ed in situazioni sfavorevoli l’istinto di sopravvivenza prende il sopravvento sull’addomesticamento. Se le condizioni di salvataggio risultano troppo pericolose per l’incolumità dei soccorritori, in una valutazione del rischio, tutti i protocolli di intervento raccomandano di rinunciare al salvataggio.

E’ da sottolineare che la conoscenza del comportamento della specie animale da soccorrere è fondamentale per una buona riuscita dell’intervento.

IL SOCCORSO

L’insieme di operazioni da porre in essere in una situazione di soccorso prevede innanzitutto una risposta da parte di personale qualificato. Questo deve raccogliere adeguate informazioni sulla natura dell’emergenza, sugli animali coinvolti e deve coordinare l’arrivo dei professionisti e dei mezzi idonei al trasporto e/o adeguatamente equipaggiati con sistemi di recupero attrezzati per il primo soccorso.

Per approfondire la tematica scarica l’articolo intero qui 

Soccorso grandi animali in emergenza

Maggio 9, 2022/da Salvatore Medici
https://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2022/05/cavalli.jpg 270 450 Salvatore Medici https://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2021/10/logo2.png Salvatore Medici2022-05-09 16:01:582022-05-09 16:01:58Tecniche per il soccorso di animali di grande taglia

Ha senso oggi una Scuola Internazionale di maxiemergenze?

Contributi

Di Enrico Bernini-Carri – Presidente del CEMEC- Consiglio d’Europa

Che la Protezione Civile italiana possa essere considerata una delle migliori e più efficienti del mondo è ormai cosa evidente e riconosciuta, anche in virtù della grande esperienza maturata dal terremoto dell’Irpinia dal 1980 in poi. Personaggi come Alberto Mantovani per la veterinaria, il Ministro Giuseppe Zamberletti poi, hanno tracciato una strada che oggi ci ha portato a essere presenti sul territorio nazionale con una realtà di organizzazione nazionale e regionale di Protezione Civile che si distingue per rara capacità di intervento e di programmazione. Il ruolo stesso del volontariato in questi anni è cresciuto esponenzialmente in professionalità ed efficienza (esperienza unica nel mondo per numero e qualità dei partecipanti).

Una domanda, allora, mi sorge spontanea: come mai con un’esperienza e una capacità così elevata, in tutti questi anni non siamo riusciti a organizzare una Scuola Nazionale di Protezione Civile che possa formare i quadri dirigenti nazionali, regionali e direttivi delle organizzazioni di volontariato?

In trent’anni di esperienza in questo settore (dapprima come medico militare, poi come docente universitario e infine come presidente del CEMEC (Centro Europeo di Medicina delle Emergenze e Catastrofi), ho visto nascere, sopravvivere e morire Scuole di Formazione Regionali e locali che hanno avuto qualche anno (o a volte qualche mese) di gloria, per poi scomparire in un limbo di inutilità e inefficienza o di “galleggiamento”; di contro sono proliferati Master Universitari, Corsi di Formazione o perfezionamento di Organizzazioni di Volontariato, a volte molto avanzati ed efficienti, a volte francamente autoreferenziali  e ripetitivi, in mano spesso a persone che hanno lucrato sulla buona volontà di studenti e di cittadini interessati.

Credo sia arrivato il momento di mettere un po’ d’ordine in questo “mare magnum” di istruzioni, formazioni, scuole che hanno finora intercettato e vicariato a una richiesta di professionalità in un campo che, sempre di più, è evoluto in una scienza precisa.

Da queste brevi considerazioni e da chi come attore ha fatto parte del complesso mondo delle maxiemergenze, è nata l’esigenza di poter ordinatamente confrontare esperienze consolidate (lessons learned), nozioni scientifiche integrate e prospettive di sviluppo in questo complesso campo; il tempo dell’”armiamoci e partiamo” è finito (e dubito sia mai esistito nel vasto e integrato pianeta delle emergenze): è ora che la professionalità di tutti gli operatori o almeno di coloro che li dirigono e si interessano a questo mondo, trovi un riferimento culturale stabile e solido.

I Corsi di Disaster Managers, i diversi Master Universitari, hanno tracciato un percorso che merita di essere sviluppato e integrato e in quest’ottica il Consiglio d’Europa, tramite il CEMEC, con l’Accordo Europeo-Mediterraneo sui Rischi Maggiori, ha sposato appieno l’idea di creare una Scuola Internazionale sui Disastri che possa diventare, col tempo, non solo un riferimento nazionale ma anche rappresentare un riferimento culturale internazionale, integrando docenti italiani e stranieri, ognuno con le loro peculiarità, ,ognuno con le proprie esperienze.

Solo un luogo di cultura internazionale di confronto tra realtà, a volte molto diverse (ma tutte con la base comune di saper gestire le emergenze nell’interesse della popolazione), potrà consentirci di continuare a crescere e far crescere quelle nazioni che, per inesperienza o per difficoltà organizzative, non hanno ancora avuto modo di configurare servizi completi ed efficienti di Protezione Civile. Solo una Scuola comune potrà rappresentare un luogo di confronto e di implementazione tra esperienze differenti a livello nazionale, europeo e internazionale e contemporaneamente raggiungere l’obiettivo (perseguito dal Consiglio d’Europa, ma condiviso da tutte le Nazioni) di far crescere la “resilienza” della popolazione, in un mondo dove le catastrofi sono sempre più presenti e devastanti a causa dei cambiamenti climatici e la continua antropizzazione del suolo.

Maggio 9, 2022/da Salvatore Medici
https://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2022/05/11_Bernini.jpg 1536 2304 Salvatore Medici https://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2021/10/logo2.png Salvatore Medici2022-05-09 15:54:442022-05-09 15:54:44Ha senso oggi una Scuola Internazionale di maxiemergenze?

Exe Flegrei 2019, ecco com’è andata

Contributi

Dal 16 al 20 Ottobre 2019 si è svolta, nel territorio delle ASL Napoli 1 Centro e Napoli 2 Nord, la prima esercitazione sul piano di evacuazione della zona rossa dei Campi Flegrei in caso di emergenza vulcanica. In particolare, i Servizi veterinari del Dipartimento di Prevenzione delle ASL sono stati impegnati per il raggiungimento dell’obiettivo: “Tutela delle produzioni zootecniche e del benessere animale”. L’esercitazione Exe Flegrei 2019, in particolare, ha consentito a entrambe le Asl di poter testare l’adeguatezza dei metodi e delle procedure descritte nei manuali operativi per le emergenze veterinarie e per quelle relative alla sicurezza alimentare, i tempi di risposta in relazione al rischio, analizzare e risolvere eventuali criticità emerse, pubblicare materiale divulgativo per sensibilizzare la cittadinanza.

L’esperienza dell’Asl Napoli 1 Centro

a cura di Marina Pompameo – Direttore Presidio Ospedaliero Veterinario (P.O.V.)

Exe Flegrei 2019 è stata fortemente sentita dai Medici Veterinari dell’ASL Napoli 1 Centro e dai componenti del Centro di Riferimento Regionale per l’Igiene Urbana Veterinaria (C.R.I.U.V.) che, grazie agli studi effettuati dal CeRVEnE, sottolineavano il crescente interesse degli addetti ai lavori per le procedure emergenziali da adottare in campo veterinario. In particolare, l’esigenza di verificare sul campo quanto teoricamente progettato è cresciuta con la consapevolezza che diverse Municipalità di pertinenza della ASL Napoli 1 Centro insistono sulla zona rossa a rischio vulcanico.

La peculiarità di interesse veterinario della città di Napoli e le zone a essa connesse, potenzialmente interessate da un eventuale evento vulcanico, consiste nella particolare numerosità di animali d’affezione. Infatti, nonostante un patrimonio zootecnico modesto trattandosi di area fortemente antropizzata (112 capi bovini, 225 ovi-caprini, 429 equini, 120 suini) risiedono nella città di Napoli un numero stimato di ben 27.000 animali d’affezione (cani e gatti), nonché circa 7000 gatti ospitati nelle 660 colonie feline urbane e ben 3 concentramenti di cani (pensioni e\o allevamenti).

Numeri estremamente elevati che lasciano intendere la portata dell’impegno che andrebbe profuso dai Servizi Veterinari e dagli stessi cittadini qualora si verificasse un evento emergenziale. Sulla base di queste premesse, le attività di pianificazione dell’esercitazione Exe Flegrei 2019 hanno puntato l’attenzione sulla verifica delle modalità evacuative degli animali d’affezione, che rappresentano per la città di Napoli un grande patrimonio da tutelare, nonché una profonda responsabilità da gestire per i Servizi Veterinari nell’ambito della disastrologia emergenziale.

Molta attenzione è stata dedicata da parte dei Servizi Veterinari alle attività divulgative alla cittadinanza. Si è ritenuto infatti che avvicinare i cittadini, e nella fattispecie gli studenti, alla tematica emergenziale fosse la più grande risorsa per poter amplificare la cultura della prevenzione, della sicurezza e della gestione di un evento catastrofico.

Pertanto, in coordinamento con la Protezione Civile del  Comune di Napoli sono stati effettuati dei momenti di confronto con gli alunni delle scuole secondarie, che si sono resi a loro volta divulgatori delle notizie apprese in ambito scolastico. La rilevanza di questo momento formativo-divulgativo è stata implementata con l’allestimento nelle aree di attesa di info point presieduti da Medici Veterinari esperti nel Settore Emergenziale che, con il supporto di stazioni mobili, hanno fornito delucidazioni e materiale divulgativo.

Il momento sicuramente più significativo dell’esercitazione Exe Flegrei 2019 ha visto protagonista il Rifugio\pensione per cani “ANTAR”, sito in piena zona rossa e pertanto fortemente interessato alla tematica. La simulazione dello sgombero di un Rifugio per cani è stato il primo evento in tal senso non solo in Italia, ma nel mondo, pertanto ha costituito il primo esempio pratico di “Corretta evacuazione di un concentramento di cani”. Il canile nella giornata del 18 ottobre alle ore 12.00 è stato allertato telefonicamente dai Servizi Veterinari simulando uno stato di pre-allarme.

Come da istruzioni, il Gestore della Struttura ha avvisato il proprio personale per iniziare le operazioni di evacuazione. L’allontanamento dei cani ha visto due momenti fondamentali costituiti dal prelevamento dei cani in pensione ad opera degli stessi proprietari e il trasferimento dei restanti presso la Struttura gemellata fuori dalla zona rossa.

La supervisione dei Servizi Veterinari nell’ambito dell’esercitazione pratica è stata finalizzata alla valutazione delle procedure messe in campo dal titolare nel corso dell’evacuazione e della tempistica di realizzazione dell’allontanamento degli animali. Lo scopo finale è risultato quindi quello di validare sul campo il “Manuale delle Emergenze” in ambito veterinario, di modo da toccare con mano le criticità in corso di una emergenza vulcanica.

Nonostante quattro “imprevisti-previsti” ovvero pre-programmati dai Servizi Veterinari per creare ad hoc dei disagi durante lo sgombro della Struttura (assenza del Direttore sanitario del rifugio – secondo automezzo in dotazione al canile in avaria – animali di proprietà in numero superiore rispetto a quelli dichiarati –  cani potenzialmente pericolosi che necessitano di sedazione) l’evacuazione completa del canile è avvenuta in tempi inferiori rispetto a quelli stimati (4 ore rispetto alle 6 ore preventivate) senza riportare conseguenze negative sulla salute e sul benessere psicofisico dei cani.

L’esercitazione pertanto si è svolta nel rispetto delle procedure del “Manuale di Emergenza”. La ASL Napoli 1 Centro ed il C.R.I.U.V. ritengono questa esperienza altamente formativa dal punto di vista professionale e umano ed intendono implementare i loro studi verso questo settore che coinvolge pienamente la città di Napoli ed i suoi abitanti a 4 zampe.

Le attività svolte dall’Asl Napoli 2 Nord

a cura di Cristina Siragusa- dirigente veterinario

Nell’ambito di Exe Flegrei 2019, l’ASL Napoli 2 nord ha ritenuto procedere con l’identificazione, da parte dell’Unità di Crisi Locale (UCL), di una task force operativa interdisciplinare a cui affidare le attività in campo durante l’esercitazione. Il gruppo di lavoro ha ritenuto prioritario instaurare, già durante la fase precedente il preallarme, contatti diretti con le strutture operative locali (COC), fondamentali allo scambio di informazioni relative alla reciproca organizzazione per garantire, poi, in fase di preallarme, i corretti flussi informativi necessari a stabilire le azioni in campo.

I servizi veterinari dell’ASL Napoli 2 nord hanno, inoltre, avviato una collaborazione con i responsabili delle strutture con concentramenti di animali (allevatori, direttori di stabulari, ecc.) che, utilizzando strumenti oggettivi quali questionari e check list, puntava a un una pianificazione aziendale per le azioni da intraprendere in fase di preallarme che, come per il piano Vesuvio, è quella riservata, tra l’altro, alle attività volte allo svuotamento delle strutture con animali.

La fase di preallarme, iniziata alle 11.00 circa del 17 ottobre, è continuata per tutto il 18 e ha visto le componenti veterinarie del Dipartimento di Prevenzione impegnate a rispondere in modo contingente alle molteplici richieste provenienti dai COC dei sei Comuni della zona rossa afferenti al territorio della ASL Napoli 2 Nord. Sono stati testati, inoltre, tramite attivazione simulata, i piani posti in essere nei giorni precedenti con allevatori e altri responsabili di strutture con animali, per individuarne le criticità e, quindi, le correzioni necessarie, per poi stilare dei modelli di piani da estendere, in modo sistematico, a tutte le strutture del territorio durante le attività dei Servizi veterinari con la partecipazione attiva dei responsabili delle strutture stesse.

Altra attività svolta è stata la stesura di procedure semplificate destinate sia ai proprietari degli animali da compagnia, sia a detentori di animali da autoconsumo (suini, ovicaprini, avicunicoli), coinvolgendo anche i proprietari di equidi di tipo amatoriale e sportivo. Le procedure contenevano indicazioni utili a facilitare l’allontanamento degli animali per evitare l’abbandono degli stessi nel territorio, durante la fase di evacuazione della popolazione, evenienza che comporterebbe problemi di benessere animale ma anche di tipo igienico sanitario nelle fasi successive all’evento eruttivo o a un eventuale rientro dalla fase di allarme.

Le indicazioni sono state somministrate alla popolazione nella giornata del 19, in modo diretto e con l’aiuto di volantini specifici, tramite la partecipazione dei veterinari del Dipartimento di Prevenzione alla campagna “Io non rischio”, organizzata dalla Protezione civile presso gli info point diffusi nei Comuni di competenza della zona rossa, durante la simulazione dell’allontanamento della popolazione nella fase di allarme.

Conclusioni

Da una prima analisi dei risultati dell’esercitazione, tenutasi in Regione, presso l’UOD Prevenzione e Sanità Pubblica Veterinaria, sono emerse alcune proposte migliorative:

  • Aggiornare il modello di intervento sanitario con specifico focus sul rapporto tra Unità di crisi Aziendale, i Comuni (COC) e la Protezione civile.
  • Sviluppare, in caso di emergenze non epidemiche, le procedure di allontanamento di animali di affezione, integrando il modello predisposto da Asl Napoli1 Centro e Asl Napoli 2 Nord, durante Exe Flegrei 2019.
  • Approfondire le procedure di allontanamento per ippodromi e zoo.
  • Predisporre uno studio di fattibilità sull’allontanamento da zona rossa degli animali da reddito, da sottoporre alle autorità di Protezione civile.
  • Adeguare il decreto di istituzione dell’UCREVSA e delle Unità di crisi locale con l’inserimento dell’igiene pubblica e definire l’aspetto della pronta reperibilità e della continuità operativa.
  • Superare la criticità del sistema BDN/GISA per l’utilizzo dei dati in tempo reale o proporre un aggiornamento periodico dello stesso, da utilizzare in situazione di emergenza
  • Predisporre una procedura di rilevazione e gestione anagrafe canina, con definizione di un Cap (Codice di avviamento postale) che va a identificare i quartieri nelle aree metropolitane
  • Predisporre una mini esercitazione per posti di comando, al fine di verificare l’impianto del modello di intervento UCR/UCREVSA/UUCCLL e Dipartimenti di Prevenzione.
  • Elaborare un questionario (check list) unico rivolto alle aziende zootecniche e agli Osa, finalizzato a reperire i dati sulla gestione del rischio, integrando i modelli di questionari e check list già esistenti ed elaborati da CeRVEnE e Asl.

 

Maggio 5, 2022/da Salvatore Medici
https://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2022/05/10_evacuazione-canileleggera.jpg 675 900 Salvatore Medici https://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2021/10/logo2.png Salvatore Medici2022-05-05 13:13:032022-05-05 13:13:18Exe Flegrei 2019, ecco com’è andata

Il metodo “COPRE”: continuità produttiva e resilienza delle imprese

Contributi

di Ing. Francesco Geri, esperto in Risk Management.

L’United Nations Office for Disaster Risk Reduction (UNDRR) in collaborazione con il settore privato italiano, ha condotto di recente un’indagine per identificare e comprendere i rischi che le piccole e medie imprese in Italia stanno affrontando. Al riguardo è stato organizzato il sondaggio “Building Resilience of SMEs” rivolto alla sensibilizzazione delle stesse sulla resilienza e sulla identificazione dei rischi. I primi risultati presentati in occasione dell’incontro previsto per il Global Platform for Disaster Risk Reduction a Ginevra nel Maggio 2019, hanno dimostrato che la creazione di presidi di resilienza per le PMI è un obiettivo prioritario per realizzare la resilienza delle comunità locali e nel contempo circa il 60% delle PMI non è in grado di attivare processi di recovery dopo un disastro (es. sisma, alluvione) ed esce dal mercato in maniera definitiva. In esito all’incontro di Ginevra di Maggio, sono state tracciate le seguenti necessità ai fini dell’incremento di resilienza delle PMI in Europa: rafforzamento dell’impegno del settore bancario e dei governi locali; costruzione di un nuovo “genere” di Business Continuity Planning (BCP); rafforzamento del settore delle utility (es strutture approvvigionamento energia e acqua) e della conoscenza delle interdipendenze con le PMI; costruzione di “capacità” al sistema delle PMI e fornire linee guida “realmente applicabili.

Il business continuity management nelle micro e piccole e medie imprese agroalimentari
Il Business Continuity Management (BCM) si pone quindi come strumento applicativo rispetto alle linee di azione orientate alla resilienza delle micro e piccole e medie imprese. Esso è un processo olistico, complesso e multidisciplinare, finalizzato all’analisi dei rischi di interruzione dei processi critici delle attività produttive, da cui derivano le attività di Disaster Recovery ed i piani di continuità operativa (Business Continuity Plan) finalizzati a mantenere l’attività stessa «sul mercato» evitando così la perdita di tessuto sociale di un territorio a seguito di un evento naturale e/o antropico.
Il metodo COPRE consiste nell’attuare modalità di previsione, prevenzione, gestione delle emergenze e superamento degli ostacoli alla ripresa delle normali attività del territorio, rispetto ai vari rischi presenti, integrandole con i criteri e le modalità della business continuity management per le micro e PMI, facilitandone la resilienza ed il mantenimento della capacità di creare valore a livello locale.
Tuttavia, la prova dei fatti ha reso evidente che una realtà industriale a livello di micro, piccole e medie imprese, non può sostenere un percorso di questo tipo con le sole capacità endogene, richiedendo il supporto di un sistema allargato che può essere identificato con il sistema di protezione civile, dal livello locale al livello nazionale. Questo si rende particolarmente evidente nella fase della gestione emergenziale ed ancor prima, nella fase di definizione ed attuazione del piano di protezione civile comunale. In più, il campo di applicazione del sistema di gestione della continuità produttiva deve tenere conto anche delle interdipendenze con la catena di fornitura, che stanno diventando sempre più complesse, estese (spesso anche a livello internazionale) e mutevoli nel tempo. Risulta quindi di particolarmente importanza prevedere dei meccanismi di Supply Chain Continuity Management (SCCM), in un contesto in cui una calamità può interessare più elementi della catena di fornitura, minando la relazione tra cliente e fornitore. Per quanto riguarda il settore agroalimentare, particolare importanza riveste da questo punto di vista, il concetto di filiera intesa come insieme degli agenti e delle operazioni che concorrono alla formazione e al trasferimento di un prodotto (o di un gruppo di prodotti) allo stadio finale di utilizzazione.

Il metodo COPRE per la pianificazione della continuità produttiva
Tra le attività principali per poter gestire gli aspetti più critici del processo di continuità produttiva per le PMI del settore agroalimentare vi sono: l’analisi di rischio, l’analisi della filiera di settore e delle relative interdipendenze a seguito di evento critico. In fase di preparazione è necessario per il gestore della micro e PMI, avere chiara la distinzione tra il piano di emergenza interno (incident response plan) vero e proprio ed i piani di ripristino (disaster recovery) e di continuità gestionale (business continuity). Il piano di emergenza interno è normalmente la prima parte del piano di ripristino, ovvero la risposta/reazione del personale interno della micro e PMI all’evento nei minuti e nelle ore che seguono l’evento. Il piano di ripristino è il processo continuo per la mitigazione a breve termine delle conseguenze dell’evento, che va oltre la reazione immediata; esso può, in line di massima, essere inteso come un’estensione del piano di emergenza interna. Il piano di continuità gestionale è invece il programma complessivo delle misure messe in atto per far fronte al rischio a livello aziendale e trattare l’interruzione delle normali attività nelle settimane e nei mesi successivi all’evento. Tra le attività ad alta integrazione tra i criteri BCM ed i metodi di protezione civile previste dal metodo COPRE, che possono essere attuate in fase di piano di emergenza interna e piano di ripristino della micro e PMI, vi sono, ad esempio, con riferimento al rischio idrogeologico e al rischio connesso con gli eventi meteorologici estremi, quelle che presuppongono un collegamento consapevole con il sistema di allertamento nazionale.

Attivare questo collegamento consapevole, permette di organizzare e gestire nell’ambito delle micro e PMI, possibili misure di prevenzione non strutturale (attive e passive) per ridurre la vulnerabilità al rischio idrogeologico di strutture, allevamenti ed impianti di trasformazione, all’interno delle aree di pertinenza fluviale. Molte e significative misure di emergenza (es. misure attive) possono essere attuate solo in caso di sufficiente tempo di allerta, che permetta di porre in essere le azioni e gli strumenti necessari a rendere efficienti le misure di sicurezza.

Conclusioni

L’applicazione dei criteri BCM per le grandi strutture industriali può contare su risorse interne delle stesse, l’attivazione di detti criteri per le micro e piccole e medie imprese, è praticamente impossibile. Per attuare quindi i criteri BCM per le micro e PMI del settore agroalimentare, occorre il significativo e fondamentale supporto del sistema complesso di Protezione civile. Quanto espresso porta a pensare alla possibilità di inserire il processo di pianificazione della BCM per le micro e PMI nell’ambito del processo di pianificazione di protezione civile a vari livelli, dal livello locale (anche in gestione associata) fino al livello nazionale. E’ anche possibile pensare ad una pianificazione strutturata per “distretti” produttivi, ovvero per ambiti territoriali ottimali (ATO).

 Un ulteriore considerazione, stante la complessità del sistema di risposta in fase emergenziale, suggerisce l’idea di strutturare un raggruppamento omogeneo di attività finalizzate alla rapida ripresa delle attività produttive, ovvero di una apposita funzione di supporto “Continuità produttiva delle micro e PMI” nell’ambito delle attivazioni della struttura di comando e controllo a seguito di un evento calamitoso. Detta funzione, strutturata ad hoc, potrebbe essere in grado di proporre ed attuare soluzioni per la continuità del tessuto produttivo locale, che richiedono una grande integrazione di enti e strutture operanti sul territorio colpito e coordinate nell’ambito dei centri operativi attivati. Peraltro, le attività della funzione possono orientarsi anche alla gestione degli effetti sull’intera filiera, in attuazione dei criteri del Supply Chain Continuity Management (SCCM). Questo porterebbe il sistema di risposta, anche a livello locale, a permettere l’attivazione di capacità di “disaster recovery” delle micro e PMI, con tempistiche compatibili con il MTPD (Maximum Tolerable Period of Disruption), ovvero con il tempo massimo in cui i processi produttivi possono non essere disponibili per evitare la fuoriuscita dal mercato di riferimento.

Maggio 5, 2022/da Salvatore Medici
https://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2022/05/Copre.jpg 635 724 Salvatore Medici https://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2021/10/logo2.png Salvatore Medici2022-05-05 13:10:302022-05-05 13:10:30Il metodo “COPRE”: continuità produttiva e resilienza delle imprese

Canile pubblico e rischio esondazione, lo studio Vitinia

Contributi

Di Stefano Luigi Argiolas, Medico veterinario.

L’articolo rappresenta la sintesi di uno studio effettuato oltre 5 anni addietro (2013) che riguarda il canile rifugio pubblico di Vitinia. Lo scopo era quello di confermare o meno l’opportunità amministrativa di sostenere o meno il gestore. L’analisi è servita come elemento per motivare l’impossibilità di impegnare ulteriori risorse pubbliche da parte di Roma Capitale. La sintesi non riporta il “piano di evacuazione degli animali” (reperibile sul sito www.cervene.it) che pianificato in precedenza (“in tempo di pace”) era già stato utilizzato (“in tempo di guerra”), per l’evacuazione “speditiva” di 60 cani di un canile privato, “Code felici”, interessato da un evento alluvionale puntiforme che aveva provocato il decesso per annegamento di 4 cani (evacuazione effettuata in circa 5 ore per trasferimento di tutti i cani presso altra struttura privata convenzionata con Roma Capitale). Il canile di Vitinia successivamente è stato sgomberato e definitivamente chiuso con l’intervento della forza pubblica.

Ubicazione

Il canile di Vitinia si trovava all’esterno del grande Raccordo Anulare (GRA), ricadente all’interno della classificazione di rischio definita dall’Autorità di Bacino del fiume Tevere come area AA (area golenale), ed era posizionato sull’argine destro idraulico del fiume, argine che nel caso dell’evento atteso (potenzialmente annuale), avrebbe sopportato la maggiore pressione idrica con elevato flusso laminare ad azione erosiva. La zona “a monte” a quota inferiore, era stata difesa da importanti opere di ingegneria idraulica.

 Lo scenario di rischio considerato

Lo scenario di rischio ha preso in considerazione il caso di maggior gravità possibile ed è stato necessario effettuare l’analisi del Rischio Idraulico e l’elaborazione dei “Lineamenti del Piano di Emergenza”. Pertanto, si è fatto riferimento ad un evento di piena con un tempo di ritorno atteso annuale, con una portata stimata potenzialmente superiore ai 3.300 mc/sec, così come già riscontrati il 2 Dicembre 1900 e con livelli di precipitazioni “preparatorie” e “determinanti” ai massimi valori considerabili. Tali condizioni, se verificatesi, avrebbero avuto serie conseguenze su tutta l’area. Localmente la situazione si sarebbe potuta aggravare dalla presenza del depuratore di zona, localizzato “a monte” a poche centinaia di metri e sulla stessa sponda idraulica, e dalla presenza di un collettore di scarico delle acque piovane. Bisogna inoltre considerare e valutare “l’impatto” provocato dalla presenza di animali (nutrie) che abituati a scavare canali negli argini, indeboliscono gli stessi ed imbibendoli di acqua, diminuiscono la loro capacità di resistenza alle sollecitazioni; cosa probabilmente già accaduta, almeno come concausa nella rottura degli argini del fiume Serchio (Dicembre 2009).

Gli elementi vulnerabili

La capacità massima autorizzata di accoglienza della struttura era di 200 cani. Sulla base della raccolta dei dati oggettivi e dell’analisi storica, si è potuto affermare che l’intero canile era a rischio idraulico. Dai sopralluoghi effettuati, le aree a “rischio prioritario ordinario” interne al canile individuate come maggiormente vulnerabili erano: le intere file di tutti i box “esterni fronte fiume” Tevere, in cui sono stati registrati piccoli progressivi cedimenti del terreno e la prima parte della fila di box a “monte” del canile il cui il rischio risultava essere, se possibile, ancora maggiore a causa della presenza del grosso collettore di scarico delle acque piovane asservito anche alla sede stradale. Tale realtà “puntiforme” si sarebbe potuta aggravare nel periodo dell’anno fra i mesi di ottobre e novembre, durante il quale il territorio capitolino risulta invaso dal fogliame delle alberature che ostacola la regolare opera di smaltimento delle acque attraverso il sistema fognario. La condizione se realizzata, avrebbe potuto produrre delle vere e proprie “water bomb” analoghe a quella avvenuta nel Dicembre del 2008 nel quadrante Nord di Roma nel canile “code felici”, che pur “incidendo” su di un’area considerata con R 0, dovette essere evacuato “speditivamente” in un pomeriggio.

Pericolo per risorse mane

Per quanto concerne invece la presenza di persone è stato necessario valutare la forza lavoro standard dell’associazione animalista a cui era affidata la gestione della struttura. Tale associazione impiegava una forza lavoro complessiva abituale di 12 unità, organizzata in 1 turno di servizio per un’attività continuativa che va dalle ore 7,30 alle 15,10 per 7 giorni alla settimana.

Esito

In tale quadro, l’assenza di una motivazione plausibile inerente la reale necessità di investire cifre ingenti su di una struttura collocata in area a rischio per lavoratori, volontari e cittadini, ha reso non immaginabile la formalizzazione di alcuna ipotesi di riqualificazione organizzativa.

In allegato potete qui scaricare il file degli Appunti dettagliati sull’intervento

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Canile ed emergenze_analisi del caso Vitinia

Maggio 5, 2022/da Salvatore Medici
https://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2022/05/Vitinia1.png 384 467 Salvatore Medici https://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2021/10/logo2.png Salvatore Medici2022-05-05 13:02:322022-05-05 13:34:45Canile pubblico e rischio esondazione, lo studio Vitinia

Il terremoto in Italia centrale raccontato dai medici veterinari

Contributi

Di Gina Biasini, Dirigente veterinario IZSUM.

Nell’agosto del 2016, in Centro Italia ha avuto inizio quella che tra il 2016 e il 2017, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia definisce la sequenza sismica Amatrice-Norcia-Visso. La prima forte scossa fu registrata il 24 agosto 2016, alle ore 3:36, con una magnitudo di 6.0, con epicentro situato lungo la Valle del Tronto, tra i comuni di Accumoli (RI) e Arquata del Tronto (AP). Due potenti repliche sono avvenute il 26 ottobre 2016 con epicentri al confine umbro-marchigiano. Il 30 ottobre è stata registrata la scossa più forte, di magnitudo momento 6.5 con epicentro tra i comuni di Norcia e Preci, in provincia di Perugia. Il 18 gennaio 2017 è avvenuta una nuova sequenza di quattro forti scosse di magnitudo superiore a 5. Questo insieme di eventi provocò in tutto circa 41.000 sfollati, 388 feriti e 303 morti. Proponiamo il racconto, l’esperienza e le modalità dell’intervento eseguito dai medici veterinari dall’Istituto Zooprofilattico Umbria e Marche (IZSUM).

“Il 24 agosto 2016, l’Istituto Zooprofilattico Umbria e Marche dà disponibilità e quindi adesione alla Colonna Mobile dell’Umbria per l’emergenza. La rapidità di reazione è resa possibile da una disponibilità in precedenza formalizzata in un “Protocollo d’Intesa” siglato da Protezione Civile Regione Umbria e IZSUM. Tale accordo ha permesso di essere operativi già nella stessa giornata del sisma essendo noto ruolo e obiettivo: destinazione Centro Operativo Comunale (COC) pertinenti alla Funzione Sanità (F2) per l’allestimento delle Cucine nei Campi tenda.

Lavorando in F2, ci si è immediatamente resi conto che il sisma aveva provocato danni in molti allevamenti, per cui ci si è attivati per la ricognizione dei bisogni costituendo una “Squadra Veterinaria” formata da Veterinari dell’Azienda Sanitaria Locale, dal referente dei Servizi Veterinari Regionale oltre che dall’IZSUM.

Si è quindi approntata una scheda rapida per il rilievo dei bisogni e già il 26 agosto si è stati in grado di riferire la situazione alla Sala Operativa Unica Regionale (SOUR) rappresentata dalle massime autorità. In data 30 agosto, il Ministero della Salute ha organizzato e formalizzato il Coordinamento Tecnico Interregionale (CTI): la veterinaria italiana nel terremoto dell’Italia Centrale ha proposto un nuovo schema per la gestione delle emergenze di Sanità Pubblica Veterinaria (SPV) e per la Sicurezza Alimentare.

Il CTI era collegato, attraverso la funzione 2 “Sanità e Assistenza alla popolazione” del DI.coma.C, al sistema complesso di Protezione Civile (P.C.). Il modello predisposto contiene l’organizzazione propria della veterinaria (Ministero, Regione, ASL e IIZZSS) e dell’Agricoltura (MIPAAF) che va a integrarsi armoniosamente al sistema di P.C., attivando un’osmosi tecnico-operativa tra il centro e i territori.

La scelta di localizzare il CTI nella sede di un IZS, fuori dalla struttura della DI.coma.C per una maggiore efficienza logistica, tecnica e operativa, è stata oculata e potrebbe rappresentare un esempio per le altre componenti del sistema di P.C.

La garanzia di tale impianto è che all’interno del CTI, la comunicazione segue le procedure previste, utilizzando il “proprio linguaggio”; mentre quando comunica con il sistema di P.C., riconosce e utilizza il metodo Augustus. La catena di comando è pertanto rispettata. A oggi, i risultati ottenuti da questo modello sono molto soddisfacenti.

In seguito lo stesso territorio è stato colpito da nuovi violenti terremoti (26 e 30 ottobre).  Il CTI, in fase di chiusura, ha risposto prontamente.

Il CTI si è riunito rapidamente in via straordinaria con tutte le sue componenti e in sede di riunione si è stabilito che, per offrire un efficace supporto operativo, risultava fondamentale assicurare una costante presenza sul territorio. Pertanto sono stati costituiti i gruppi operativi dislocati: Gruppo Umbria con sede operativa al COAR di Norcia, Gruppo Marche con sede operativa ad Ancona, Gruppo Lazio con sede a Rieti presso IZSLT.

I gruppi hanno affrontato varie problematiche: definizione delle priorità e dei bisogni del comparto agro-zootecnico colpito; censimento delle stalle inagibili classificate per specie, indirizzo produttivo e consistenza dei capi, al fine di definire gli interventi per la mitigazione dei danni subiti; evacuazione degli animali dalle zone rosse ovvero le zone interdette alle attività ordinarie a causa del livello di pericolosità.

A seguito del censimento, al fine di favorire la continuità operativa e per la mitigazione del danno nel comparto zootecnico, è stata individuata come soluzione prioritaria la realizzazione di strutture sostitutive temporanee delle stalle inagibili: tunnel bovini da latte (20 capi / tunnel), tunnel bovini carne (20 capi / tunnel), tunnel ovini (100 capi / tunnel).

Contestualmente a quanto fin qui descritto, è stata anche svolta una rilevante attività di ascolto e d’informazione. In particolare, è stato creato un punto di riferimento all’interno del COAR, con la costante presenza e disponibilità di un operatore, al quale gli allevatori potevano rivolgersi per manifestare qualunque tipo di necessità e presso il quale ricevere tutte le informazioni per la gestione in emergenza.

Per la pianificazione delle attività da svolgere presso gli allevamenti (ispezioni, raccolta dati, censimento dei capi) è stata impiegata la BDN come fonte dati. E’ stata quindi realizzata una scheda rilievo danni ad hoc. Tutte le informazioni raccolte nel corso delle attività sono state caricate nel Sistema Iuvene, il sistema informatico messo a disposizione dal Centro di Referenza per le Emergenze non Epidemiche, presso l’IZSAM.

Seppure le informazioni contenute inizialmente in BDN, (coordinate geografiche dei siti, numero di allevamenti collegati a uno stesso codice aziendale, consistenza in capi e capacità recettiva della stalla), siano state determinanti per la gestione sanitaria, nel corso di tal evento è emersa la necessità di acquisire ulteriori informazioni rispetto a quelle già presenti. Si sono resi, infatti, necessari i dati catastali, il numero delle unità immobiliari e loro destinazione, la presenza e la dislocazione di strutture particolarmente critiche (letamaie, silos, ecc.).  Dall’attività del CTI è stato possibile adeguare tempestivamente la BDN, anche se in modo parziale, rendendola maggiormente efficace anche nella gestione delle emergenze non epidemiche.

Con l’esperienza maturata nel corso dell’evento, si può dire che sarebbe necessario avviare alcune attività in fasi di non-emergenza come l’organizzazione di periodiche simulazioni di emergenza in zone definite del territorio italiano, per la verifica dell’aggiornamento puntuale dei dati e delle informazioni presenti in BDN, visto il non sistematico allineamento tra dati di campo e dati informatici, soprattutto per la specie ovina e suina. Necessaria sarebbe anche l’implementazione delle informazioni esistenti con dati riguardanti le imprese alimentari o attività di produzione alimentare (caseifici, macelli aziendali, ecc.) annesse all’allevamento stesso, e l’implementazione delle informazioni esistenti con un sistema di tracciabilità di tutti i capi, che necessariamente vengono delocalizzati sia in stalle di appoggio sia in soluzioni temporanee poste fuori dalla proprietà aziendale quindi con coordinate diverse.

In allegato potete qui scaricare il file degli Appunti dettagliati sull’intervento fatto in ambito veterinario

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Appunti sul_Terremoto Centro Italia _2016_Emergenze veterinaria

Maggio 5, 2022/da Salvatore Medici
https://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2022/05/tunnel.jpg 879 579 Salvatore Medici https://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2021/10/logo2.png Salvatore Medici2022-05-05 12:50:172022-05-05 13:35:13Il terremoto in Italia centrale raccontato dai medici veterinari

La nuova figura del Referente Sanitario Regionale per le emergenze

Contributi

di Federico Federighi, Responsabile del Servizio Emergenza Sanitaria del Dipartimento della Protezione Civile.

Con la pubblicazione della DPCM 28 Giugno 2011, Indirizzi operativi per l’attivazione e la gestione di moduli sanitari in caso di catastrofe, il Sistema Nazionale di Protezione Civile (SNPC) ribadì il principio fondamentale per cui, in caso di catastrofe, qualunque tipo di aiuto sanitario sarebbe giunto nella Regione colpita solo su richiesta di questa.
Implicitamente venne affermato che gli aiuti sanitari non devono essere un generico gesto di solidarietà, bensì una precisa operazione di rinforzo del SNPC al Servizio Sanitario (SSR) della Regione colpita, quando questa ritenga che le proporzioni dell’evento abbiano travalicato le proprie risorse.
Affinché questo “rinforzo” possa essere efficace, è indispensabile che corrisponda a una necessità effettivamente riscontrata dal Servizio Sanitario della Regione colpita, che in tempi congrui, valutata l’insufficienza delle proprie forze, chieda aiuto al SNPC.

Il Referente Sanitario Regionale per le emergenze (RSR) è incaricato dal Presidente della regione o Provincia Autonoma, principalmente per svolgere questi decisivi compiti:
– valutare rapidamente l’effetto della catastrofe sulla popolazione e sulle strutture sanitarie;
– valutare l’eventuale insufficienza delle risorse sanitarie locali;
– rivolgersi al Dipartimento della Protezione Civile per chiedere, specificando qualità e quantità, le risorse sanitarie necessarie, indicare la destinazione e giunte in posto, impiegarle a sostegno dei Servizi locali;
– se necessario coordinare con il DPC l’evacuazione sanitaria (Medical Evacuation) dei propri pazienti in ospedali di altre Regioni, qualora gli ospedali locali non siano più sufficienti.

Più in generale i RSR rappresentano il riferimento del Servizio Sanitario Regionale, in tutte le sue branche, per il Presidente della propria Regione, la Protezione Civile Regionale e il Dipartimento della Protezione Civile.
I RSR esistono dal Maggio 2014, quando l’allora Capo del Dipartimento Franco Gabrielli fece richiesta ai Presidenti delle Regioni e delle Provincie Autonome di un riferimento h 24, da cui ricevere informazioni accreditate sugli effetti sanitari provocati dagli eventi emergenziali e le eventuali richieste di aiuto sanitario.
Con la DPCM 24 Giugno 2016 “Individuazione della Centrale Remota Operazioni Soccorso Sanitario per il coordinamento dei soccorsi sanitari urgenti nonché dei Referenti Sanitari Regionali in caso di emergenza nazionale”, il ruolo e le caratteristiche dei RSR sono state definiti più dettagliatamente e hanno consentito il loro impiego anche nelle Regioni non colpite dall’evento, da cui hanno l’autorità di distogliere risorse sanitarie (anche molto pregiate, come gli elicotteri 118 e i posti letto ospedalieri di terapia intensiva) per metterli a disposizione della Regione colpita.
I RSR hanno operato per la prima volta durante l’emergenza Centro Italia del 2016-17, poi in tutte le successive e il loro ruolo si è dimostrato subito risolutivo, sia per coordinare i soccorsi urgenti nelle prime ore successive all’evento, sia per coordinare le successive attività di ripristino dei Servizi Sanitari danneggiati

Maggio 5, 2022/da Salvatore Medici
https://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2022/05/esercitazione1.jpg 1200 1600 Salvatore Medici https://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2021/10/logo2.png Salvatore Medici2022-05-05 12:42:242022-05-05 12:42:24La nuova figura del Referente Sanitario Regionale per le emergenze

Emergenze, smaltimento delle carcasse per interramento in Regione Campania

Contributi

di Giovanna Fierro e Guido Rosato.

Contesto ambientale

La Campania conta 5.772.625 abitanti, ed è la regione più popolosa dell’Italia meridionale e la prima a livello nazionale per densità di popolazione. Ha una superficie di 13670,95 km².

La Campania è prevalentemente collinare (50,8%), il 34,6% di essa è montuosa e il 14,6% pianeggiante.

Di tutta la regione, solo un quinto è formato da pianure. Le principali sono localizzate essenzialmente nel casertano e lungo la costiera cilentana. Le pianure più importanti sono: a nord quella del fiume Garigliano e quella del fiume Volturno, la zona piana non è una superficie unitaria, ma è suddivisa in tante pianure divise da tanti rilievi dell’anti appennino.

È evidente come le caratteristiche orografiche della nostra regione condizionino fortemente eventuali possibilità di sotterramenti delle carcasse, in situazione di emergenza, sia epidemica che non epidemica.

L’argomento riguardante la possibilità di smaltimento delle carcasse tramite interramento è stato recentemente ed esaustivamente affrontato anche nella stesura delle procedure di smaltimento carcasse in caso di PSA, Decreto Dirigenziale n. 116 del 17 aprile 2020  “Peste suina africana – approvazione delle mappe di rischio e delle procedure per lo smaltimento delle carcasse”. Le procedure sono state elaborate in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno (IZSM) con il supporto tecnico/scientifico dell’Osservatorio Epidemiologico Regionale e del Centro di Riferimento Regionale per l’Igiene Urbana (CRIUV), adattandole alle realtà della regione Campania.

La deroga allo smaltimento delle carcasse, con possibilità di sotterramento, è quella prevista dall’art. 19 del Reg (Ce) n 1069/09.

Stabilimenti operanti nel settore dei SOA

Già nella fase di pianificazione del Piano di Emergenze non epidemiche si censiscono anche tutte le attività i mezzi e gli impianti esistenti nelle Regioni, quali quelli che effettuano Trasporto e smaltimento dei SOA, gli impianti di trasformazione, incenerimento e coincenerimento, contenitori,  individuazione di aree di raccolta delle carcasse, celle frigo per lo stoccaggio di carcasse animali da smaltire e per alimenti non più idonei al consumo umano da smaltire;  generatori di energia elettrica per il funzionamento delle celle frigo; centri refrigerati di stoccaggio delle carcasse di animali morti; aree raccolta carcasse, inceneritori, discariche; sostanze antimicrobiche da aspergere sui SOA se non c’è possibilità di refrigerazione per interruzione energia elettrica.

La localizzazione e la capacità degli impianti di smaltimento devono essere considerate in fase di pianificazione e per emergenze maggiori si può ipotizzare l’autorizzazione temporanea di mezzi con requisiti richiesti di proprietà delle ASL, Comuni etc.

Per lo smaltimento delle carcasse degli animali morti, gli allevatori e/o i detentori devono attivarsi per far sì che le carcasse siano concentrate in punti facilmente accessibili ai mezzi e quanto più vicini agli allevamenti, evitando che creino difficoltà di circolazione dei mezzi di soccorso.

Le deroghe allo smaltimento sono disciplinate dall’ art. 19 del Reg Ce n. 1069/09, questo prevede la possibilità di sotterramento e di incenerimento, soprattutto per gli animali morti, in situazioni specifiche, quali le zone isolate, le zone alle quali l’accesso è praticamente impossibile o se c’è rischio per la salute e la sicurezza degli addetti alla raccolta, in caso di calamità naturali, per garantire rapido smaltimento degli animali e per evitare la diffusione dei rischi di contagio.

Lo smaltimento delle carcasse tramite interramento si configura, quindi, come una soluzione straordinaria rispetto all’invio alla trasformazione o all’incenerimento, a cui ricorrere solo nei casi suindicati, ove sia necessario il rapido smaltimento delle carcasse e vi sia difficoltà di trasporto, in siti di interramento all’interno dell’azienda o vicino a una discarica.

L’interramento è consentito con Ordinanza del Sindaco, previo parere della ASL in aree idonee per l’interramento opportunamente individuate. Il Comune disciplina le procedure di interramento e tiene un censimento, preferibilmente georeferenziato, dei siti di interramento e delle bestie ivi sepolte. La Polizia Municipale e la ASL vigilano per quanto di competenza e, in particolare, ai Servizi Veterinari  compete  l’accertamento della  corretta  identificazione  del   bestiame,  e  che  non    vi siano rischi di trasmissione di zoonosi.

In regione Campania allo stato attuale, non insiste nessun impianto di trasformazione di SOA di Cat. 2, e risulta attivo un solo impianto di trasformazione dei materiali di categoria 1 che, tra l’altro, a causa di un lungo periodo di inattività per problematiche sanitarie e giudiziarie, risulta ancora fermo. L’impianto di cui sopra, a pieno regime e una volta riattivato, ha una capacità giornaliera di 240 tonnellate.

In regione Campania sono presenti i seguenti operatori nel campo dei SOA:

  1. Impianti di Magazzinaggio (cod. STORP e COLL – con e senza manipolazione) n° 26. In media ogni impianto può ricevere 60 TN giornaliere.
  2. Impianti di incenerimento n° 14 dei quali 13 a bassa capacità (50 KG max) e n. 1 ad alta capacità (max 350 kg/ciclo/2 ore, cioè in totale kg 4200/giorno).
  3. Impianti di trasformazione: n° 1 impianto di categoria 1 con capacità di circa 10 ton/ora (240 ton/giorno) – n° 4 impianti di categoria 3.
  4. Veicoli registrati per il trasporto SOA in totale n. 1037, dei quali n. 187 di categoria 1 e n. 850 di categoria 3.

La capacità degli impianti come sopra riportato potrebbe essere insufficiente a fronte di una elevata mortalità in periodi di tempo molto limitati, pertanto, in condizioni di emergenza, si dovrà ricorrere, di volta in volta a soluzioni alternative:

  • Reclutamento anche di automezzi/contenitori/impianti di categoria 3, dietro rigorose misure sanitarie dettate “in deroga” e con declassamento temporaneo a categoria 1;
  • Invio delle spoglie fuori regione;
  • Reclutamento su disposizione di Autorità di PS di impianti di incenerimento autorizzati secondo norme ambientali;
  • Smaltimento per infossamento in loco.

Questa ultima possibilità sarebbe sicuramente da perseguire, laddove ci si trovi a dover gestire centinaia e centinaia di animali morti o soppressi, domestici o selvatici, essendo difficilmente attuabile il trasporto delle spoglie verso altri siti della regione o addirittura fuori regione.

Smaltimento per infossamento in loco.

La possibilità di ricorrere all’infossamento in loco è sancita dalle deroghe previste dall’art. 19 del Regolamento (CE) n. 1069/2009 nel caso in cui il trasporto nel più vicino impianto di incenerimento o di trasformazione sia impossibile per problemi logistici o per insufficiente capacità degli impianti di trattamento art. 19, comma 1, lettera c:

“attraverso incenerimento o sotterramento in loco o attraverso altri mezzi, sotto controlli ufficiali al fine di prevenire la trasmissione di rischi per la salute pubblica e degli animali, dei materiali di categoria 1 di cui all’articolo 8, lettera b), punto ii), di materiali di categoria 2 e di categoria 3 in zone alle quali è praticamente impossibile accedere o alle quali è possibile accedere solo in condizioni, per motivi geografici o climatici o a causa di catastrofi naturali, che possono presentare rischi per la salute e la sicurezza del personale addetto alla raccolta o alle quali è possibile accedere solo impiegando mezzi di raccolta sproporzionati”.

 L’area per l’infossamento deve essere situata in una zona chiusa geologicamente idonea, possibilmente lontana dalla visione pubblica. Sebbene la Regione Campania abbia fornito indicazioni preliminari sull’identificazione delle aree potenzialmente idonee per un interramento di animali, sarebbe auspicabile che le operazioni avvengano previa verifica di un tecnico competente (geologo) e sotto controllo ufficiale da parte dei competenti servizi veterinari, al fine di assicurare l’idoneità dell’area, che sarà condizionata anche dalla presenza di cavi sotterranei, condutture di acqua e gas, tralicci elettrici, ed altre infrastrutture, la cui valutazione potrà essere esclusivamente locale.

La fossa deve essere profonda almeno 2,5-3 m. Per quanto riguarda l’area del fondo, sono necessari 0,5-0,7 m2 per quintale di animali abbattuti. Quando le condizioni del terreno lo consentono e quando sono disponibili attrezzature adeguate, possono essere scavate fosse o trincee più profonde e più ampie, da 3,5 metri a 6 metri, secondo le condizioni del terreno, del tipo di scavo e dell’attrezzatura disponibile. Per ogni metro in più di profondità, il numero di animali per ogni 4 m2 di superficie può essere raddoppiato.

Nel caso il terreno ove si intenda infossare sia naturalmente impermeabile e non si proceda al recupero di percolati le operazioni da eseguire sono le seguenti:

  • escavazione di una fossa profonda almeno 2 m, la cui superficie deve essere di 0.5-0.7 m2 per quintale di animale abbattuto; le carcasse devono essere disposte in monostrato;
  • formazione di un cassonetto perimetrale della larghezza e profondità di almeno 1 metro, utilizzando argilla di fondo scavo compressa, per evitare che le acque di saturazione dei terreni circostanti entrino nella fossa;
  • copertura delle carcasse con 2 m di terreno.

Le pareti della fossa e del fondo devono essere cosparse di calce viva. Fra le carcasse degli animali si devono aggiungere disinfettanti, al fine di limitare nel tempo i possibili attacchi da gasteropodi, lombrichi e animali predatori.

Laddove, invece, si preveda un Infossamento in terreno “sufficientemente” impermeabile con raccolta di percolato le operazioni da eseguire sono le seguenti:

  • escavazione di una fossa profonda 2 m, la cui superficie deve essere di 0.5-0.7 m2 per quintale di animali abbattuti;
  • la base della fossa deve avere un’inclinazione con pendenza dell’1-2%;
  • realizzazione del cassonetto ai lati e sul fondo della fossa sostituendo i terreni sabbiosi con le argille di fondo scavo, in modo tale da evitare che le acque di infiltrazione del terreno coltivato confluiscano nella fossa stessa;
  • posa sul fondo del cassonetto argilloso di uno strato di 15 cm di terreno sabbioso, prima della deposizione delle carcasse, in modo da creare un drenaggio dei liquidi di putrefazione verso il pozzetto di raccolta dei percolati;
  • realizzazione di un pozzetto in calcestruzzo, la cui base poggia almeno un metro più in basso del fondo della fossa. Dalla base, mediante anelli di calcestruzzo, il pozzetto arriva fino alla superficie della fossa. Il pozzetto deve essere realizzato con tubi di cemento forati nella parte inferiore che poggia in un «filtro inverso», costituito da ghiaia e sabbia, in grado di raccogliere i percolati che vi confluiscono;
  • copertura delle carcasse con almeno 2 m di terreno in un unico strato;
  • protezione dell’intera fossa con un telo impermeabile che viene fissato al di fuori del cassonetto di argilla, in modo da impedire l’ingresso nella fossa di acque piovane.

Questo sistema prevede il recupero periodico dei percolati. Anche in questo caso durante l’esecuzione dell’intervento, le pareti della fossa e il fondo sono cosparsi con calce, mentre sulle carcasse degli animali è asperso disinfettante per limitare l’attacco di gasteropodi, lombrichi e predatori.

Nel caso di Infossamento mediante impermeabilizzazione artificiale del terreno con raccolta di percolato sostanzialmente il sistema è lo stesso del precedente, ovvero deve essere riportato del terreno argilloso per conferire il necessario grado d’impermeabilizzazione al fondo e alle pareti della fossa. Per scavare questo tipo di fossa, che richiede tempi di esecuzione piuttosto lunghi, è necessario disporre di adeguati mezzi speciali, di personale qualificato e della collaborazione di ditte esterne. Questa metodica può essere utilizzata solo quando i capi da interrare sono pochi.

Infine laddove si intenda procedere all’Infossamento mediante impermeabilizzazione artificiale del terreno senza raccolta di percolati l’intervento si articola nelle seguenti fasi :

  • sbancamento di una fossa di 2 metri e posa all’interno di un unico telo sintetico ad impermeabilità garantita; i lembi devono rimanere all’esterno della fossa;
  • all’interno del telo viene posato uno strato di 50 cm di terreno;
  • disposizione delle carcasse in unico strato e copertura con 1 m di terreno naturale;
  • chiusura dei lembi del telo impermeabile al di sopra del terreno e copertura dei lembi con un ulteriore metro di terreno. In questo modo le carcasse risultano avere una copertura di 2 m.

Questa metodica serve a evitare che i liquidi di putrefazione possano fuoriuscire dall’involucro e che le acque d’infiltrazione vi possano entrare. Il telo deve essere impermeabile e resistente. L’area è recintata, sono vietati l’edificazione, il pascolo, la coltivazione e la raccolta di foraggi. Anche in questo caso, quando si scava la fossa, le pareti e il fondo devono essere cosparsi con abbondante calce.

Mappatura di aree potenzialmente idonee all’interramento.

Ai fini dell’individuazione delle aree che potrebbero essere adatte all’interramento, sono stati individuati i seguenti criteri:

  1.  Pendenza del territorio – esclusi terreni con pendenza > 10%;
  1. Carta tessiturale dei suoli;
  1. Livello della falda – esclusi terreni con falda sottostante < 5m (laddove il dato sia disponibile);

Questi dati sono stati combinati tra loro ottenendo una rappresentazione del territorio regionale, in cui il tracciato record fornisce indicazioni relative a:

  1. Tessitura del suolo;
  1. Pendenza;
  1. Comune;
  1. Provincia;
  1. ASL;
  1. Area del singolo poligono.

Ulteriori livelli cartografici, utili alle amministrazioni comunali per l’individuazione di aree di interramento, sono:

  1. Centri abitati;
  1. Allevamenti;
  1. Eventi franosi;
  1. Carta tessiturale dei suoli;
  1. Cave dismesse.

L’intero impianto informativo è messo a disposizione dei comuni attraverso I.Ter Campania, l’hub cartografico regionale che raccoglie l’anagrafe on-line delle entità e degli eventi territoriali della regione, realizzata a sostegno delle attività istituzionali degli Enti Locali.

La fonte dati geografici utilizzati è rappresentata da quanto messo a disposizione dalla Regione Campania – Dati pubblicati dal Sistema Informativo Territoriale (SIT). Per la carta tessiturale dei suoli: Regione Campania, D.G. Politiche Agricole Alimentari e Forestali. Carta dei Sistemi Terre e dei Sottosistemi Pedologici della Campania. https://sit2.regione.campania.it/content/carte-pedologiche. Per i dati sugli allevamenti suini: Banca Dati Nazionale, Sistema Informativo Veterinario (VetInfo).

Maggio 5, 2022/da Salvatore Medici
https://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2022/05/mappa_Osa.jpg 515 512 Salvatore Medici https://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2021/10/logo2.png Salvatore Medici2022-05-05 12:39:152022-05-05 12:39:15Emergenze, smaltimento delle carcasse per interramento in Regione Campania

Gestire i SOA nel corso delle emergenze non epidemiche

Contributi

di Giovanna Fierro, medico veterinario.

I sottoprodotti di origine animale (S.O.A.) sono una importante risorsa per l’economia, soprattutto in considerazione delle nuove tecnologie produttive che ne consentono svariati utilizzi. Vengono prodotti principalmente durante la macellazione degli animali destinati al consumo umano, durante la produzione di prodotti di origine animale, nell’ambito dei provvedimenti di lotta alle malattie e durante lo smaltimento delle carcasse degli animali. Quindi anche nel corso delle emergenze non epidemiche, quando in prossimità di calamità naturali e catastrofi bisogna fronteggiare grosse quantità di animali. A prescindere dall’origine, i SOA. potrebbero costituire un rischio potenziale per la salute pubblica, degli animali nonché per l’ambiente, rischio che deve essere tenuto sotto controllo in modo adeguato, destinando tali prodotti a sistemi di smaltimento sicuri oppure mediante altri impieghi sicuri. In merito alla normativa dei SOA, la definizione ci è data dall’articolo 3 del Regolamento (CE) 1069/2009: “corpi interi o parti di animali o prodotti di origine animale non destinati al consumo umano, ivi compresi gli ovuli, gli embrioni e lo sperma (non destinati alla riproduzione)”. Il suddetto regolamento disciplina tutte le sfaccettature inerenti i SOA, dal momento della loro produzione, trasporto, immagazzinamento, trattamento, smaltimento

Durante le Emergenze non Epidemiche c’è necessità di gestire i seguenti SOA: animali morti, alimenti e mangimi di origine animale avariati e stallatico prodotto negli allevamenti e dei fertilizzanti organici e ammendanti.

Per lo smaltimento delle carcasse degli animali morti gli allevatori e/o i detentori devono attivarsi per far sì che le carcasse siano concentrate in punti facilmente accessibili ai mezzi e quanto più vicino agli allevamenti, evitando che creino difficoltà di circolazione dei mezzi di soccorso.

Le deroghe allo smaltimento sono disciplinate dall’ art. 19 del Reg Ce n. 1069/09), che prevede la possibilità di sotterramento e di incenerimento. L’autorità competente, nella fattispecie il sindaco della località interessata, approva lo smaltimento di sottoprodotti di origine animale in loco conformemente all’articolo 19 del regolamento (CE) n. 1069/2009 dei sottoprodotti di origine animale dal luogo di origine al luogo di smaltimento.

Lo smaltimento delle carcasse tramite interramento o incenerimento si configura, quindi, come una soluzione straordinaria rispetto all’invio alla trasformazione, ove sia necessario il rapido smaltimento delle carcasse e vi sia difficoltà di trasporto. E’ consentito l’interramento con Ordinanza del Sindaco, previo parere della ASL in aree idonee per l’interramento opportunamente individuate, si prevede la possibilità di recinzione per evitare incursioni di carnivori e la fossa dovrà essere adeguatamente segnalata. Il Comune disciplina le procedure di interramento e tiene il censimento georeferenziato dei siti di interramento e delle bestie, ivi sepolte. La Polizia Municipale e l’ASL vigilano per quanto di competenza e, in particolare, ai Servizi Veterinari compete l’accertamento della corretta identificazione del bestiame e il controllo sui rischi di trasmissione di zoonosi.

Nel caso di bovini di età superiore a 48 mesi o di ovini di età superiore a 18 mesi, viene eseguito il prelievo del tronco encefalico nei modi previsti dalle disposizioni in vigore per l’effettuazione del test diagnostico per TSE e, in caso di test positivo, alla ricerca del prione sul tronco encefalico.

I siti destinati all’interramento dovranno essere ubicati in suolo idoneo sotto i seguenti aspetti:

  1. a) per struttura geologica e mineralogica;
  2. b) per le proprietà meccaniche e fisiche del terreno;
  3. c) per il livello della falda idrica e sua protezione naturale;
  4. d) per la distanza da corpi idrici superficiali
  5. e) distanza da opere ed attività antropica: prevedere una distanza di almeno 20 metri da strade, fabbricati rurali, coltivazioni, tale distanza è aumentata a 50 metri nel caso di interramenti multipli.

In casi di alluvioni ci saranno molti animali morti per annegamento, soprattutto pollame, animali di bassa corte, ovini e caprini, inoltre altre difficoltà quali il terreno sommerso, l’impossibilità di utilizzo mezzi, l’impossibilità di smaltire carcasse per interramento ed incenerimento.

La combustione dei sottoprodotti di origine animale nei siti di cui all’articolo 19 del regolamento (CE) n. 1069/2009, è effettuata in modo da garantire che tali sottoprodotti di origine animale siano bruciati su pire appropriatamente costruite in modo che i sottoprodotti di origine animale siano ridotti in cenere, senza generare rischi per la salute umana o usare processi o metodi che presentano rischi per l’ambiente, in particolare per l’acqua, l’aria, il terreno, la vegetazione o gli animali, o che sono nocivi a causa del rumore o dell’odore e in condizioni che garantiscono che le ceneri risultanti siano smaltite mediante sotterramento in una discarica autorizzata.

Infine per quanto riguarda il trasporto dei SOA, essi devono essere trasportati in recipienti o veicoli sicuri ed ermetici. Il carico e lo scarico dei sottoprodotti di origine animale è sorvegliato dall’autorità competente, se del caso. Le ruote dei veicoli sono disinfettate quando lasciano il sito di origine e i contenitori e i veicoli utilizzati per il trasporto sono interamente puliti e disinfettati dopo lo scarico dei sottoprodotti di origine animale.

Maggio 5, 2022/da Salvatore Medici
https://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2022/05/soa.jpg 849 1280 Salvatore Medici https://www.disastrologiaveterinaria.it/wp-content/uploads/2021/10/logo2.png Salvatore Medici2022-05-05 10:45:232022-05-05 10:45:23Gestire i SOA nel corso delle emergenze non epidemiche
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